Passa ai contenuti principali

Il bambino che scoprì la morte

Il primo veleno della fanciullezza è quando scopri che le persone si rompono, e muoiono. Fino a quel giorno ne avevi il sospetto ma pensavi che fosse una specie di controindicazione degli adulti, per la quale c'era comunque un rimedio, da qualche parte. Quando poi un tuo zio che vedevi sempre taciturno e ombroso alle riunioni di feste comandate, che spizzicava le pietanze e ti incuteva un po' di timore, sparisce sul serio e per sempre dalla banda dei parenti, realizzi che la morte non è una leggenda. E che toccherà anche a te. Il pensiero successivo per fortuna è Ma chissà quando, e lo metti via, quello spavento, dentro un baule dell'anima, come un fumetto logoro in cantina. Sai che è lì, però. Non lo consideri più, la gran parte del tempo non ci pensi ma incombe su di te e ti agguanta quando hai la febbre alta e deliri, o nel torpore nauseato dopo un'indigestione, o nelle ombre di una stanza poco illuminata.
La notte di Natale del 1977 Charlie Chaplin morì nel sonno. Io ero a casa a guardare in tv Luci della ribalta. E questa sarebbe già una coincidenza degna di essere approfondita. Quella stessa sera morì pure quel mio zio taciturno: ci telefonarono verso le dieci, per quanto fossi piccolo me lo ricordo. Sullo schermo moriva Calvero, il clown impersonato da Chaplin; in Svizzera moriva il vero Chaplin; a Narni mio zio. Finzione e realtà si mescolavano, nella danza macabra che al destino piace tanto ballare. Non seppi distinguere subito tra vero e falso, era un gioco di specchi troppo complicato per me. Era morto l'attore che stavo guardando, il suo personaggio e anche mio zio. Mio zio era un personaggio? Sarebbe rivissuto più tardi come un attore rivive dopo esser morto nel film precedente?
Insomma scoprii la morte vera (e mi ci volle un po' per distinguerla dall'altra) e capii che la morte vera è quella che ha a che fare con una persona che conosci. Gli estranei che muoiono sono come Calvero, muoiono per finta. Ma quando entra dentro casa tua, la morte fa tutto un altro effetto.
Oggi mi è venuto di immaginare il primo uomo, nella preistoria, che scoprì la morte. Deve essere successo, magari in qualche tribù sperduta sull'Himalaya: il capoclan, vecchissimo, a un certo punto sarà morto. E sarà stato il primo a morire, in quel posto di quattro anime. E gli altri attorno, i figli e i nipoti, a chiedersi a suoni gutturali perché dormisse tanto. A scuoterlo: Alzati, vecchio, che è pronto in tavola. O qualcosa del genere. E immagino la faccia del primo, il più sveglio, cui venne il sospetto che il nonno non stesse affatto dormendo ma fosse una cosa - diciamo così - più definitiva.
Magari quel troglodita aveva la stessa mia espressione incredula di quel Natale antico.

Commenti

Posta un commento

Grazie per aver commentato il mio post

Post popolari in questo blog

Avvento

Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra

Tre circostanze fortunate

Tu adesso chiudi gli occhi che io ti do un bacio. Chiudi gli occhi perché il bacio non devi vederlo arrivare, devi fare in modo che l'attesa sia una fitta dentro al petto, che la mia bocca s'aggrappi alla tua quando non ci contavi più, quando pensi che me ne sono andato e t'ho lasciata là, ingannata e cieca. Mentre aspetti il tempo ti sembrerà differente - il tempo dell'attesa di un bacio sfugge alla gabbia consueta - e se alla fine ti chiedessero di contarlo dovresti fare come i bambini, con le dita, e sarebbe lo stesso un inganno. Non è una questione di età, io ho la mia e tu la tua, non siamo alle prime armi. Ma anche la tenerezza - perché è di questo che stiamo parlando - muove con un tempo tutto strano, asincrono, ed è la stessa di quando avevamo vent'anni - tu più di recente - rinvigorita però dall'autostima, che alla giovinezza non si addice. Poi vorrei tenerti addosso, come in quella canzone di Paoli, stringerti alla mia camicia bianca e dirti che probab

Alcune ragioni contrarie all'infelicità

Perché sei infelice? Perché non riesci a starci dentro, alla felicità, per più di dieci minuti? Io credo che dovresti ragionare su queste domande, così intime e così terribili. Se vuoi ti do una mano, molti dicono che ci somigliamo, sarà più facile per me che per un altro suggerirti una via d'uscita. Sei infelice nonostante tu faccia tutti i giorni quello che ti piace. Pensa se non fosse successo, che avessi quei piccoli talenti che alcuni ti riconoscono: parlare in radio con disinvoltura, scrivere con leggiadria, tenere avvinti venticinque ragazzi con un poeta che per la prima volta non sembra loro inutile. Pensa se non avessi quei piccoli talenti ma fossi divorato dal desiderio di averli, e ogni tua invenzione passasse inosservata, o peggio fosse evitata come la peste. Questa attenzione che ti dedicano, non è già motivo di felicità? Le parole - lusinghiere -  che ti regalano a corredo delle tue, non sono una buona ragione per essere felici? E quando hai viaggiato per l'Italia