Passa ai contenuti principali

Tarquinia, 1984


Ci sono posti che hanno il potere di aprirmi dentro ferite malinconiche. Come finestre da cui guardare il passato e rimpiangerlo non per come è stato veramente - spesso lento e infelice -  ma per come nel tempo l'ho trasfigurato nella memoria. Immagino capiti a tanti, non lo so. Conosco anche persone che si vantano di vivere solo l'oggi, dimenticando che senza passato l'oggi non esiste. Ma a parte questo. Uno dei posti che mi strizzano l'anima è Tarquinia, litorale dove scendevo da ragazzino con la mia famiglia di allora e dove ho costruito - involontariamente e innocentemente -  ricordi duri a morire. Non perché avessero qualcosa di speciale, quei tempi. Ma solo perché a 16 anni annusi perfino l'odore dell'immondizia in fermentazione nei cassonetti lungo il mare e da grande ne diventi nostalgico. I miei 16 anni facevano abbastanza schifo. Con qualche momento di euforia, tipo una mezz'ora di sole in mezzo a una stagione che piove sempre.
Nel 1984 andavo al classico e in estate mi ritrovai senza fidanzata. Con quella a cui tenevo di più ci eravamo persi di vista, così, come ci si perde di vista anche da grandi: senza un perché. Mia sorella aveva due anni, al mare piangeva tutta la notte e mangiava solo fragole. Mio padre mi mandava a comprare Panorama perché gli piacevano gli articoli di Stefano Benni e una volta mi vergognai a riportarglielo perché in copertina c'erano delle donne completamente nude: lo buttai e gli dissi che non era uscito. Il guaio fu quando mi rispose Beh, allora ridammi indietro i soldi. Raccoglievo conchiglie che poi a casa mia madre gettava, tenevo un diario degli amori veri (quantità sporadiche) e immaginari (tonnellate) e in tv guardavo i videoclip preistorici degli Wham e di Madonna.
Raccontavo tutto questo a mia figlia, ieri, negli stessi posti di allora, mentre l'epifania - a sorpresa - ci spalancava un giorno caldo che sapeva più di primavera che di gennaio. Mi ha ascoltato per cinque minuti, poi ha dato segni di insofferenza e ho smesso. Ho fatto in tempo a farle vedere la casa dove stavamo: un appartamentino al pianterreno con giardino minuscolo. Chi ha avuto la bontà di leggere "La quarta persona più importante" lo ha ritrovato, descritto minuziosamente, nei ricordi di Mirka. All'una ho portato Susi a mangiare alla Cantinetta, nel centro storico cittadino, dove il burbero e lazialissimo proprietario prepara dei piatti memorabili che tu devi tenere a mente perché non c'è un menù alla carta ma è lui che te li declama come Pasquino immagino facesse coi suoi sonetti.
La città di Vincenzo Cardarelli mi fa questo effetto: arrotola il tempo e io vedo il me stesso impacciato appresso a sogni troppo grandi da realizzare. Fa male ricordarli e oggi a pesare torti commessi e subiti mi pare di essere in credito, di aver diritto a un risarcimento per tutto quello che -  dopo che l'avevamo costruito - si è rotto. Tarquinia mi ama e respinge. E io ci torno con parsimonia: una o due volte l'anno, mai da solo. Nascosta da qualche parte, ha la sentenza alla mia vita, in bilico tra splendore e fallimento. Ho paura di ascoltarla, così divago; se lei mi svela troppi miei segreti faccio orecchie da mercante. Come con un'amante che di te sa tutto e tu - teneramente - vuoi chiuderle la bocca con un bacio.









Commenti

Post popolari in questo blog

Avvento

Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra

Tre circostanze fortunate

Tu adesso chiudi gli occhi che io ti do un bacio. Chiudi gli occhi perché il bacio non devi vederlo arrivare, devi fare in modo che l'attesa sia una fitta dentro al petto, che la mia bocca s'aggrappi alla tua quando non ci contavi più, quando pensi che me ne sono andato e t'ho lasciata là, ingannata e cieca. Mentre aspetti il tempo ti sembrerà differente - il tempo dell'attesa di un bacio sfugge alla gabbia consueta - e se alla fine ti chiedessero di contarlo dovresti fare come i bambini, con le dita, e sarebbe lo stesso un inganno. Non è una questione di età, io ho la mia e tu la tua, non siamo alle prime armi. Ma anche la tenerezza - perché è di questo che stiamo parlando - muove con un tempo tutto strano, asincrono, ed è la stessa di quando avevamo vent'anni - tu più di recente - rinvigorita però dall'autostima, che alla giovinezza non si addice. Poi vorrei tenerti addosso, come in quella canzone di Paoli, stringerti alla mia camicia bianca e dirti che probab

Alcune ragioni contrarie all'infelicità

Perché sei infelice? Perché non riesci a starci dentro, alla felicità, per più di dieci minuti? Io credo che dovresti ragionare su queste domande, così intime e così terribili. Se vuoi ti do una mano, molti dicono che ci somigliamo, sarà più facile per me che per un altro suggerirti una via d'uscita. Sei infelice nonostante tu faccia tutti i giorni quello che ti piace. Pensa se non fosse successo, che avessi quei piccoli talenti che alcuni ti riconoscono: parlare in radio con disinvoltura, scrivere con leggiadria, tenere avvinti venticinque ragazzi con un poeta che per la prima volta non sembra loro inutile. Pensa se non avessi quei piccoli talenti ma fossi divorato dal desiderio di averli, e ogni tua invenzione passasse inosservata, o peggio fosse evitata come la peste. Questa attenzione che ti dedicano, non è già motivo di felicità? Le parole - lusinghiere -  che ti regalano a corredo delle tue, non sono una buona ragione per essere felici? E quando hai viaggiato per l'Italia