C'è un'insonnia da disperazione e una da smania di cambiamento. Ho spento la prima a furia di sforzarmi di sognare. Me lo sono imposto, come un digiuno per un obeso. Ora sperimento la seconda, che è il prologo della vita nuova che incomincia. Mi tengono sveglio le cose che voglio fare, che sto facendo. Le parole che voglio scrivere, i soprassalti del cuore. Mi sento vivo assieme, perché da solo mi sentivo perduto. E ho ripreso ad ascoltare musica con un'intensità nuova. Erano pieni di polvere i miei De Gregori, i Vecchioni. Traditi, morti. Da bambino mettevo sul piatto un 33 giri e imbracciavo la racchetta da tennis come una chitarra. Ora è che mi vergogno, sennò lo rifarei. Ma le canzoni della mia vita sono di nuovo mie, son tornate a casa. Spero mi avranno perdonato. Uno dei sistemi per sentirmi vivo è stare con chi ha vent'anni meno di me. Sto coi ragazzi, a scuola, perché volano come gli storni nel cielo di Roma, senza starci a pensare troppo, solo per protezione
reciproca. E si amano o odiano ma comunicano sentimenti puntuti, splendidamente sinceri. I
quarantenni - fatti salvi gli amici sacri - mi annoiano. Parlano di
automobili, mettono su pancia, blaterano di banche, fondi d'investimento.
Le loro mogli li tradiscono con amanti giovani. I ragazzi
invece sono oscenamente innocenti. Pronunciano un turpiloquio casto, non
sono ancora guastati dal mondo. Ridono se in classe ricordi che
Torquato Tasso era omosessuale, e c'è uno che commenta sempre "Insomma, prof:
era frocio...", perché omosessuale non fa ridere, frocio sì. La parola dico, e in quel contesto. I ragazzi han bisogno di ridere forse perché vedono i genitori litigare e non rispettarsi e separarsi, e annusano che quelli che spacciamo per valori, valori non sono: è il loro modo - confuso - di dirci che siamo ridicoli. E allora credo che dobbiamo salvarli, i nostri figli. Prima che diventino come noi. Prima che credano che le cose che gli imponiamo siano civiltà: i reality, la tecnologia schizofrenica, le collette televisive per tacitarci la coscienza con un sms. Prima che diventino politici come i politici che abbiamo, come certi cinici presentatori televisivi, come i lobbysti, i broker assatanati, i massoni, gli strozzini delle finanziarie. Pure questi saranno stati ragazzi, e avranno fissato il soffitto, alle due di notte, pensando a una ragazza che non se li filava di pezzo. E che tutto il mondo fosse pure andato in malora, se quella ragazza gli avesse sorriso. Ma non hanno imparato a ricordarsene. Perché non hanno capito - e magari nessuno li ha avvertiti - che era proprio quella l'unica cosa che dovevano ricordare, come un valore inestimabile. I ragazzi sono ancora in tempo a farlo. A struggersi per una ragazza in piena notte e la mattina essere rimbambiti di sonno. E a ricordarsene piangendoci di nascosto tra vent'anni. O almeno spero.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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