Passa ai contenuti principali

Il presepe di pasta, il giovanotto e le cinquanta lire nel campo


Quando non so cosa fare, piglio ed esco. Più volentieri in compagnia, ma non mi spavento a uscire da solo. Così oggi, che Susi era via e mi andava di camminare. In giro poi si catturano storie pronte da scrivere, basta stare con le orecchie e gli occhi aperti. A Stroncone vado sempre col tempo contato: ci metto dieci minuti in macchina, poi lì mi concedo una camminata di tre quarti d'ora tra ripide salite e ridiscese: scarpe comode, sciarpa e nessuna paura. Capita così che passando accanto a un uomo anziano che scarica legna da una Panda mi senta chiedere Fa freddo, giovanotto? e io Non troppo, signore. Si sta bene e lui replichi Eh, beato a te che ci hai la gioventù... Ora qualcuno dei miei irrispettosi studenti ironizzerà su 'sta cosa ma quel signore era veramente troppo vecchio anche in confronto al sottoscritto.
Poi arrivo a un campo da calcetto dove ho giocato tempo fa con la Susi, io in porta e lei a prendermi a pallonate. Tira forte e dritta, delle bordate che sembra Gigi Riva. Trovo, tra l'erba sintetica, un fottio di monete da 50 lire. Non tutte assieme però: sparse, buttate a caso, forse dalla mano di un croupier o da dio stesso, che sotto Natale ha voluto regalare al mondo spiccioli per giocare a tombola. Mi metto a cercarle, ne faccio una tasca piena e ci tuffo la mano a sentire il rumore che fanno,  rimescolate, mentre cammino. Sono gelate, fuori corso e quindi fuori tempo, e certune volte mi ci sento anch'io così. Tutte e tre le cose. Poi c'è il volto sorridente di uno sconosciuto per strada, una notte con gli amici che sanno ridere e commuoversi con te delle stesse cose, un messaggio da chi credevi non ti pensasse, e ti ritrovi, fieramente, nel tempo giusto, a contarne i battiti, a cantare ogni giorno la canzone necessaria ad andare avanti senza più desiderio di spegnerti.
Alla fine sono andato a vedere i presepi degli studenti delle scuole. Ce ne sono in mostra, appena varcata la porta d'ingresso al paese, di molto carini. Uno è fatto di pasta: rigatoni, mezze maniche, fusilli. Bello assai. Ho giocato poi a fare il solito giro del paese: la locanda dove mangiai una volta, l'oratorio San Filippo Neri, scorci della città visti dal borgo. Una specie di Recanati dei poveri, un Infinito dalle sponde limitate. Un ossimoro, insomma. Vagamente noioso. Ma il bello della noia è che a volte la trasformi in una fantasia che ti piace - appena tornato a casa - provare a raccontare.

Commenti

Post popolari in questo blog

Niente per sempre

C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e  a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...

Primavera di vento

A Tarquinia c'è un albergo nascosto in mezzo alla pineta, non affaccia al mare, è l'albergo dei nostalgici, degli amanti e delle canzoni d'autore. Tira sempre vento quando ci vado, ma è il vento leggero del Tirreno che volta le pagine del libro che ho in testa assieme ai ricordi della giovinezza, mai finita e mai rinnegata. In una primavera di vent'anni fa, una primavera anch'essa di vento, ci arrivammo per caso, tu ed io, ragazza amorevole di un'altra vita. Dal litorale non si vede e se non sai che c'è è difficile trovarlo, e noi cercavamo una camera col balcone sulla spiaggia, per cantare un'altra volta il caso, divinità innamorata delle onde azzurre e dei fortunali. Cenammo invece a bordo piscina perché l'hotel segreto ci rapì, e il mare restò una voce di là dalla strada, una prospettiva per l'indomani, l'abisso dentro cui stavamo per cadere dopo quella notte di soprassalti. Ti presi e poi tu prendesti me e alla fine la stanchezza ci rese ...

Il numero settecento

Mi sono perso. Ho girato a vuoto per certe colline che credevo familiari, il gps non prendeva, nei paraggi nessuno a cui chiedere la strada. Cercavo una certa locanda che in una canzone del settantatré viene cantata come un posto di frontiera,  ero certo esistesse davvero, volevo vedere com'è fatta, che gente la frequenta. Quando stavo per darmi per vinto l'ho trovata. I posti come questo, di confine, io li amo, li eleggo a covili di creatività perché là dentro passano mille venti, centomila viaggiatori, e ogni vento e ognuno di quei viaggiatori ha una storia da raccontare, e a intrecciarle ne viene fuori una inedita che ha in sé tutte le intonazioni delle altre ma una stravaganza solamente sua. Quando finisce il giorno in quegli avamposti lontani arriva il silenzio, le voci smettono di bisticciarsi e io posso abitare una veranda con vista sui campi di girasole come fossi in Alabama, e provare a confessare in libertà quello che ho in testa.  Eccola, l'eucarestia  della sc...