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Sui ricordi

Avrebbe cent'anni oggi mio nonno. Era nato nel 1913. Parlo del nonno materno: Igino. Che io ricordi nessuno mai lo ha chiamato così, solo Gino, per quella semplificazione familiare che nasce dalla necessità di nominarsi spesso. Per cui via la i con buona pace dell'impiegato dell'anagrafe, che coi venti di guerra che soffiavano magari sul registro quel nome neanche lo aveva scritto bene. Fece la guerra, mio nonno, la seconda, si capisce, e finì prigioniero degli inglesi in Albania, dove si sospetta che sia stato niente male: mangiava tutti i giorni, non doveva sparare e pare avesse anche dolce compagnia indigena. Non che ne sappia di più: ogni volta che qualche parente entrava in argomento lui svicolava e mia nonna - sua moglie - alzava gli occhi al cielo come a dire acqua passata. Mi ha allevato soprattutto lui, finché sono stato piccolo. A modo suo - rude, infaticabile e col cuore incredibilmente grande. Fare ordine nei ricordi che ho di lui non è facile. Sono tanti, tutti commoventi e colorati di nostalgia. Un paio hanno a che fare con la Juve. La domenica alle due e mezza  poteva anche passare il papa sotto le finestre di casa sua: si sedeva in cucina con la radio a transitor, chiudeva le mani a pugno una sull'altra, le piazzava sul tavolo e ci poggiava sopra il mento, la radio a 20 centimetri dal nasone. Se qualcuno gli chiedeva che faceva la Juve rispondeva scocciato, non voleva perdere una sillaba dei racconti colti, a volte iperbolici di Ciotti e Ameri. Mica come le telecronache isteriche di oggi. Controllava la schedina e spesso faceva dieci. La Juve la metteva sempre vincente, a prescindere. Non ha vinto mai un centesimo, mentre la squadra bianconera collezionava scudetti.
Una volta invece lo operarono per un tumore all'intestino, a Perugia. Al risveglio dall'anestesia chiese una radio per sentire le partite. Il chirurgo disse ai parenti di accontentarlo, convinto che ne avrebbe avuto per poco. Quel giorno la Juve vinse e lui, in pochi mesi, sconfisse il cancro. Morì alcuni anni dopo, d'infarto.
Altri ricordi feroci, incancellabili, hanno a che fare col Natale. Lui era il mio, il nostro Natale. Si era autoinvestito della nomina di addobbatore di tutte le case dei figli e dei nipoti. A casa mia arrivava verso il 10 dicembre, con nastro isolante, pinze, doppie spine, pungitopo e tanta laica pazienza. Toglieva dal cellophane l'albero finto, addrizzava i rami, sgrovigliava i fili elettrici e e se si accorgeva che le lampadine erano andate imprecava sottovoce - davanti alle statuine inorridite della madonna e di san giuseppe -  e con l'eterna MS all'angolo della bocca scendeva in ferramenta a comprarne di nuove. Oggi ci arresterebbero tutti per quel casino di luci non a norma che sembrava Incontri ravvicinati quanto atterra il disco volante. Ma ci è andata bene: nessuno è mai rimasto fulminato.  Le nostre feste duravano dal 24 dicembre al 10 gennaio, il mio compleanno. Tipo le olimpiadi nell'antica Grecia. Casa mia era magnifica, invasa da parenti e amici ed estranei che entravano e uscivano dalla porta come da un locale dove si mangia bene. Nonno Gino era il perno di tutto, la colla che ci teneva assieme, il fuochista addetto a che il camino tirasse a dovere fin dal primo mattino, il rosolatore di polli, il ghiotto assaggiatore - di nascosto, per via del diabete - di pampepati e rigatoni cannella e cioccolata.
E poi. Il primo cono di Bille Persotti, mitico gelataio narnese che pure a Roma ce lo invidiavano, lo mangiavo io. Nonno me lo portava appena s'affacciava la primavera, con la carta intorno perché scolando non gli sporcasse le maniche della giacca. Quando stavo male - e stavo sempre male da ragazzino - arrivava con un pacco mostruoso di figurine, ci passavo il pomeriggio a aprirle, incollarle. E mi portò fuori, ai giardini - lui che non aveva mai preso la patente perché diceva Se ci fossi solo io sulla strada va bene ma ci sono tutti gli altri - da che ne ho memoria. E mi comprava la gazzosa nel chiosco di Battistelli, che aveva la moglie zoppa e gobba e per servirci ci metteva una vita.
E poi tante altre cose. Tanti altri ricordi a torrenti che sono diventati fiume e adesso un mare di malnconia. Però oggi mi fermo qui. Dico solo che aver vissuto tutto questo rassomiglia molto alla felicità. Così come raccontarlo tramanda all'eterno le persone che abbiamo amato e che ci mancano da morire.












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