Passa ai contenuti principali

Dietro la porta di casa mia

Salgo a Narni più che altro per necessità, sempre coi minuti contati. Resto quel tanto che basta ad aver voglia di tornarci appena sono via. La mia città regala bellezza a ogni angolo, specie in primavera e in autunno. Maggio e settembre i mesi d'oro. Oggi son salito a prendere un po' di cena da mia madre e i panni puliti di lavatrice. Poi non era tardi e ho indugiato, ricercando il me ragazzino, studente universitario, innamorato, sposo, perdigiorno, tra le screpolature dei vicoli, le piazze ovali come una bella donna in carne, le traiettorie della luce che salta sui cofani delle auto in sosta, allaga una vetrina di merceria, si spegne dove un tetto sporge a far ombra. Qui mi dimentico di dover morire. Saluto tante facce, di poche ricordo che nome c'è dietro ma non fa niente: tutto qui sorride alla mia vita, tutto torna. Sembra che il destino, dopo avermi costretto a giri inconcludenti e pazzi si plachi e mi riaccompagni a casa. Da qui tutto è partito, qui ho sopportato la noia di pomeriggi teoricamente infiniti, quando crescere era - ne ero convinto -  una prospettiva non mia, quando la fine della scuola stava lontana come l'America.
Oggi ho incontrato due turisti americani che cercavano il museo cittadino. Ho rispolverato il mio inglese, rispondevano stretti e arrotati, non c'era dialogo. Alla fine mi son fatto seguire a gesti e li ho accompagnati a piedi: andavo meglio in italiano, ora che ci penso. Amo la mia gente scontrosa; la salita come un'onda d'asfalto sotto il duomo - chissà se mai nessuno ha sognato di cavalcarla col windsurf - e la drogheria lì accanto dove compravo cioccolata, promessa solenne dei grandi per farmi prendere tutta la messa del sabato sera; i tavolini all'aperto, quando la primavera s'annunciava alla finestra e smettevo di leggere, di suonare, e andavo fuori, a caso, lasciandomi portare dall'estro. Amo la piazzetta dove da ragazzini le vecchie dei piani alti ci tiravano bacili d'acqua perché giocavamo a pallone alle due di pomeriggio; amo le ragazze di cui ero innamorato: ora le incontro per strada, ci salutiamo con nostalgia; amo la tabaccheria di mio padre la sera di Natale, quando tanti venivano a comprare regali all'ultimo e mi addolciva il pensiero della festa, delle candele accese nelle stanze buie, dell'aria gelida che fischiava entrando nel camino come un fantasma in cerca di tepore.
Non è vero che Narni è cambiata. La città vive di luce propria, di fondamenta solide, di una comunità di gente che si conosce, che si odia per due settimane all'anno, che sa se nasci o muori prima ancora che tu nasca o muoia. Ma è bello così. Per questo dico alla mia città che l'amo, che amo i suoi abitanti, amo ciò che ho provato nella sua culla. E confesso che dietro la porta di casa mia vorrei tanto, un anno o l'altro, tornare a viverci.

Commenti

  1. deve essere una meravigliosa sensazione. io quando penso alla mia città la amo e la odio. Ma di più la odio. Amo solo una casa dentro quella città. 100 metri quadri di amore che non esistono più. amo solo quella casa, dove abitavano i nonni.
    ciao, bellissimo post(o)

    RispondiElimina
  2. sì, reso più bello dai ricordi e dalla vita vissuta. Grazie di aver commentato, ciao

    RispondiElimina

Posta un commento

Grazie per aver commentato il mio post

Post popolari in questo blog

Avvento

Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra

Tre circostanze fortunate

Tu adesso chiudi gli occhi che io ti do un bacio. Chiudi gli occhi perché il bacio non devi vederlo arrivare, devi fare in modo che l'attesa sia una fitta dentro al petto, che la mia bocca s'aggrappi alla tua quando non ci contavi più, quando pensi che me ne sono andato e t'ho lasciata là, ingannata e cieca. Mentre aspetti il tempo ti sembrerà differente - il tempo dell'attesa di un bacio sfugge alla gabbia consueta - e se alla fine ti chiedessero di contarlo dovresti fare come i bambini, con le dita, e sarebbe lo stesso un inganno. Non è una questione di età, io ho la mia e tu la tua, non siamo alle prime armi. Ma anche la tenerezza - perché è di questo che stiamo parlando - muove con un tempo tutto strano, asincrono, ed è la stessa di quando avevamo vent'anni - tu più di recente - rinvigorita però dall'autostima, che alla giovinezza non si addice. Poi vorrei tenerti addosso, come in quella canzone di Paoli, stringerti alla mia camicia bianca e dirti che probab

Alcune ragioni contrarie all'infelicità

Perché sei infelice? Perché non riesci a starci dentro, alla felicità, per più di dieci minuti? Io credo che dovresti ragionare su queste domande, così intime e così terribili. Se vuoi ti do una mano, molti dicono che ci somigliamo, sarà più facile per me che per un altro suggerirti una via d'uscita. Sei infelice nonostante tu faccia tutti i giorni quello che ti piace. Pensa se non fosse successo, che avessi quei piccoli talenti che alcuni ti riconoscono: parlare in radio con disinvoltura, scrivere con leggiadria, tenere avvinti venticinque ragazzi con un poeta che per la prima volta non sembra loro inutile. Pensa se non avessi quei piccoli talenti ma fossi divorato dal desiderio di averli, e ogni tua invenzione passasse inosservata, o peggio fosse evitata come la peste. Questa attenzione che ti dedicano, non è già motivo di felicità? Le parole - lusinghiere -  che ti regalano a corredo delle tue, non sono una buona ragione per essere felici? E quando hai viaggiato per l'Italia