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Primo amore, come stai?

A pensarci bene sono nato nel medioevo. Le figurine si incollavano ancora con la coccoina, quelle dei calciatori le regalava la Domenica del Corriere; in tv la più bella era la Carrà, i più bravi - ma bravi sul serio - Corrado, Walter Chiari, Tortora e Vianello. Guardavamo le partite alla radio e viaggiavamo di fantasia, tra gol sperati e scongiurati. I pomeriggi d'inverno mi morivano negli occhi man mano che si scuriva la montagna davanti casa, e allora era tempo di compiti. E di antibiotici, le tante volte che stavo male. O m'incappottavo e scendevo in tabaccheria, dove mio padre e tutti gli adulti fumavano davanti ai ragazzini e nessuno che si sognasse di dirgli di smetterla. Ora non si può fumare neanche all'aperto ma abbiamo città avvelenate da industrie e automobili. E però questo non c'entra.
Al cinema sotto casa davano  Ben Hur e I dieci comandamenti, non esattamente delle anteprime. Il primo film che vidi a Terni credo fosse Zanna Bianca, avrò avuto sei anni. Il cinema mi sembrò immenso, come il ventre della balena di Pinocchio nello sceneggiato di Comencini. Per andare a scuola a Sant'Anna dovevo fare una gran discesa e per tornare, va da sé, una gran salita. Oggi direi: la metafora della mia vita, prima facile e allegra oggi spaventosa. Ma sto lavorando perché torni almeno piana, camminabile. Leggevo molto, soprattutto fumetti. Poi ho preso a leggere libri e non mi sono ancora fermato. Qualcuno ne ho scritto, perfino. Ho vissuto sempre a scuola, prima da una parte poi dall'altra della cattedra. Non credevo sarebbe diventato un mestiere.
Mi sono innamorato cento volte, per destino quasi sempre a scuola. L'amore più grande è quando chi ami non lo sa: ci parli, ci studi insieme ma lei non se ne avvede, o fa finta. Una forma perfetta d'amore. Fino ad Alessandra ho avuto amori infantili e fuggevoli. I più tenaci reggevano un paio di settimane. Solo al primo anno delle superiori mi innamorai di brutto. Ricordo perfettamente il suo nome ma non lo svelerò; il viso e la voce, ma non li descriverò. Ammetto solo che ci finii sotto con tutte le scarpe. Eravamo acerbi. Stavamo stretti interi pomeriggi a ballare i lenti al compleanno di qualcuno, finiva il disco, ci staccavamo e in quel momento - puntuale e guastafeste - ecco suo padre che la riportava a casa. La mattina a scuola arrivava mezz'ora prima nonostante abitasse lì davanti perché sapeva che io alle otto meno dieci ero in classe. Alla fine dell'anno cambiò città e la cosa mi fece male. Parecchio. Non la vedo da allora, praticamente. Una volta, anni fa, mi sembrò che fosse lei sul treno per Roma. C'era Ale con me, non indagai e anche fossi stato solo non l'avrei fatto, probabilmente. Ci sfiorammo con gli occhi per un secondo o due. Subito lei tornò a leggere il libro che aveva in mano. Giurerei che le si colorarono le guance appena un poco di rosso, come quando la invitavo a ballare e lei senza dire nulla mi abbracciava. O forse me lo sono immaginato. Magari era solo il caldo a farle quell'effetto, ed era giusto una che le somigliava, dentro a quel vagone che non andava da nessuna parte se non contro la nostra perduta innocenza.




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