Devi arrivarci a piedi, non ci son santi. O meglio, ce n'è uno ma è appunto per lui che sei lì: è da trogloditi arrivargli col muso del Suv davanti al cancello. Parcheggia dove c'è il parcheggio, facile, e fattela tutta in apnea la salita, mica muori, son solo duecento metri. Un'erta, tipo la celebre ammazzamotori che porta al deposito di Paperone. Ma qui il tesoro è più prezioso, ancorché intangibile. Quando sei in cima respira, prenditela calma, guardati attorno: sei in paradiso. Il paradiso a venti minuti di macchina da Terni, anche meno da Narni: lo Speco Francescano, dove il santo di Assisi soggiornò, predicò purezza d'animo e umiltà, dove giocò, rise e dormì sulla roccia, dentro una spelonca fredda anche in agosto. Ci sono andato ieri, da solo - non c'è bisogno di essere credenti di ferro per salire fin lassù: è un luogo umanamente sacro - per un grappolo di motivi che mi ci hanno spinto e che ho lietamente assecondato. Il primo è che avevo bisogno di silenzio e lì ce n'è da imbottigliarlo e rivenderlo, per quanto è perfetto. Senti perfino la tua ombra che fruscia sotto i piedi, se stai con le orecchie aperte. Il secondo è la necessità di guardare alberi, erbe e cespugli e annusarne l'odore come doveva essere fino a tre secoli fa, prima che la locomotiva dell'industria si mettesse in moto. Il terzo, il più personale: l'esigenza di chiedere perdono a qualcuno col mio stesso nome. Di cosa, un giorno o l’altro lo racconterò. Il quarto, la necessità di camminare e stancarmi, per prendere a schiaffi la pigrizia mentale che mi coglie quando un altro libro è finito. In attesa di cominciare a scrivere il nuovo romanzo ho messo in moto le cellule della curiosità, lo starter che spara il colpo in aria di ogni mia architettata fantasia. Questo è un posto di meraviglia e miserie. Un posto dove gli uomini di quarant'anni portano le amanti giovani, confidando sul fatto che il santo più tollerante di tutti li perdoni. Un posto dove il castagno recintato ammonisce i gaudenti: lui era lì otto secoli fa e sarà lì quando tutti i contemporanei saranno polvere. Un posto dove ho fatto l'alba a sentir messa, un quattro ottobre di quand'ero ragazzo. Dove ho riflettutto sulla mia vita, facendo tutto un conto di gioie e tormenti. Che ora questi siano più insistenti di quelle non significa che non sia stato un miracolo - le gioie - viverle con spalancata meraviglia.
Devi arrivarci a piedi, non ci son santi. O meglio, ce n'è uno ma è appunto per lui che sei lì: è da trogloditi arrivargli col muso del Suv davanti al cancello. Parcheggia dove c'è il parcheggio, facile, e fattela tutta in apnea la salita, mica muori, son solo duecento metri. Un'erta, tipo la celebre ammazzamotori che porta al deposito di Paperone. Ma qui il tesoro è più prezioso, ancorché intangibile. Quando sei in cima respira, prenditela calma, guardati attorno: sei in paradiso. Il paradiso a venti minuti di macchina da Terni, anche meno da Narni: lo Speco Francescano, dove il santo di Assisi soggiornò, predicò purezza d'animo e umiltà, dove giocò, rise e dormì sulla roccia, dentro una spelonca fredda anche in agosto. Ci sono andato ieri, da solo - non c'è bisogno di essere credenti di ferro per salire fin lassù: è un luogo umanamente sacro - per un grappolo di motivi che mi ci hanno spinto e che ho lietamente assecondato. Il primo è che avevo bisogno di silenzio e lì ce n'è da imbottigliarlo e rivenderlo, per quanto è perfetto. Senti perfino la tua ombra che fruscia sotto i piedi, se stai con le orecchie aperte. Il secondo è la necessità di guardare alberi, erbe e cespugli e annusarne l'odore come doveva essere fino a tre secoli fa, prima che la locomotiva dell'industria si mettesse in moto. Il terzo, il più personale: l'esigenza di chiedere perdono a qualcuno col mio stesso nome. Di cosa, un giorno o l’altro lo racconterò. Il quarto, la necessità di camminare e stancarmi, per prendere a schiaffi la pigrizia mentale che mi coglie quando un altro libro è finito. In attesa di cominciare a scrivere il nuovo romanzo ho messo in moto le cellule della curiosità, lo starter che spara il colpo in aria di ogni mia architettata fantasia. Questo è un posto di meraviglia e miserie. Un posto dove gli uomini di quarant'anni portano le amanti giovani, confidando sul fatto che il santo più tollerante di tutti li perdoni. Un posto dove il castagno recintato ammonisce i gaudenti: lui era lì otto secoli fa e sarà lì quando tutti i contemporanei saranno polvere. Un posto dove ho fatto l'alba a sentir messa, un quattro ottobre di quand'ero ragazzo. Dove ho riflettutto sulla mia vita, facendo tutto un conto di gioie e tormenti. Che ora questi siano più insistenti di quelle non significa che non sia stato un miracolo - le gioie - viverle con spalancata meraviglia.
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