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Dueagostoottanta: la perdita dell'innocenza


La mattina del due agosto Ottanta faceva caldo da morire. Mio padre mi portò a vedere il rudere che aveva comprato a Itieli, entusiasta, e io - ragazzino - ci andai volentieri perché vedere mio padre sorridente e di buon umore era evento raro. Una volta lassù mi parve che aveva preso una cantonata ma non glielo dissi: un intrico di rovi, cespugli, erba alta, serpi, e giusto una stalla sventrata come da un bombardamento. A lui luccicavano gli  occhi. Pensai che rimettere in sesto quel disastro era impossibile. Mi colse anzi una fastidiosa inquietudine, a contemplare quel nulla. Disse: "Vedrai che cosa ti tiro fuori" e già m'ero stancato di avergli dato corda. A casa mangiammo e poi lui andò in salotto e accese la tv. Mentre finivo il gelato ci chiamò, a me e a mia madre. La voce gli tremava. Il tg trasmetteva le immagini di uno scempio:  la stazione di Bologna. I morti, il sangue censurato, le notizie che si accavallavano, la concitazione degli inviati, le facce gialle, gonfie, fintamente allarmate dei politici che poi sapemmo in qualche misura coinvolti. Le macerie, e sotto mani che spuntavano a reggere una borsa, il guinzaglio di un cane. Macerie, come a Itieli. Tutto da ricostruire: in campagna, per noi, c'era da tirar su una casa di villeggiatura dove avrei passato momenti di incredibile noia e altri - qualche anno più tardi -  di tenerezza e passione; in Italia, per la gente per bene, da rimettere in sesto un paese calpestato e ancora oggi malmesso, a volte senza speranza. Itieli è stato per me, quel giorno, come incontrare una persona che all'inizio detesti e di cui, col tempo, non puoi fare a meno. Il caso si divertì: successe lo stesso giorno della strage. Ho ricordi potenti, di quel posto: è stato luogo di incontri amorosi non sempre leciti, una specie di buen retiro per coppie, regolari e non. Un posto dove son passate centinaia di persone, quasi tutte amiche (anche se non credo che tutte ci abbiano fatto l'amore) e almeno un tempo care. Oggi un po' perdute di vista. Un posto dove ho abitato, dove un pomeriggio ci venne l'estro di fare una figlia, dove scoprimmo, mesi dopo, grazie a un pezzo di plastica che si colorò di rosso, che quella figlia era in arrivo. Un posto dove la nostalgia è attaccata ai muri come una mano di vernice. Dove abbiamo fatto pranzi folli tipo quello dei cento giorni agli esami con gli amici che ancora oggi ho la fortuna di avere attorno; dove ho rischiato la pelle andando a sbattere con la macchina addosso alla recinzione di legno della radura e finendo quasi nell'orto di sotto, un salto di una quindicina di metri; dove ho fumato, riso, giocato a pallone, fatto l'alba a raccontarmi a un amore guardando le stelle.
E dove ogni volta che torno mi prende quel sentimento d'inquietudine che-  il due  agosto di trentatre anni fa, come presagio di una vita magnifica e terribile - mi fece smarrire per sempre l'innocenza dei ragazzini.

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