Eravamo tra la folla parigina, oppressi dalle monarchie familiari. Pure noi giacobini affamati di libertà. Diciassette anni fa, 14 luglio 1996, la nostra presa della Bastiglia: la vita insieme, il trasloco dalle famiglie di origine, la costruzione di una famiglia nuova, solo nostra, una nuova costituzione, regole differenti, indipendenza. Le macchine gonfie di panni e valigie e libri che non si vedeva la strada: Passiamo per la campagna, ché se ci ferma la stradale ci danno l'ergastolo. Le tue supplenze all'asilo, il mio part-time in tabaccheria. La sera, tra scatole da svuotare, gatti randagi che ci giravano intorno, mangiammo una lattina di tonno e due pomodori lì nel giardino come fossero le cose più buone del mondo. Toccavamo il sogno, lo ammiravamo compiuto. Increduli, dopo tanto aspettare. La casa di Itieli a guardarla da un certo lato sembra una piccola fortezza, in effetti: tornava tutto.
Io non so se ti ho mai ringraziata per tutto questo bene che ho avuto da te, per il senso di compiutezza della vita che mi hai infuso. Per quando all'una tornavo a casa e sorridevo all'idea che stavi ad aspettarmi, mi aprivi la porta e ti davo un bacio ed eri di una bellezza esagerata e dicevi Senti se la pasta è giusta di sale? Credo di sì, sospetto di averti ringraziato innumerevoli volte. Lo faccio ancora oggi, giorno sacro e insopportabile, e ti ricordo felice accanto a me ma vivere solo di memoria è una condanna spropositata anche per le mie manchevolezze. Non so se ho dentro di me le risorse per superare la sofferenza o almeno farla sopportabile. A volte credo di avercela fatta, poi una ricaduta; è troppo presto, mi dice qualche amico. Quando mai sarà abbastanza tardi per andare a letto e dormire - dormire! - senza torcere le lenzuola, non so. Magari un giorno smetterò - dall'abisso più osceno dell'anima - di pregare il dio caino di concedermi la grazia di non svegliarmi più.
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