Un mondo dove tutti
potenzialmente possono diventare scrittori non è necessariamente un
mondo migliore. Già questa cosa basterebbe a giustificare il denaro
speso per "Una certa idea di mondo", di Alessandro Baricco, collezione
di articoletti (nel senso di dimensioni, non di qualità) pubblicati su
Repubblica che raccontano quelli che sono - secondo lui - i libri più
belli che ha letto (o riletto) negli ultimi dieci anni. Questa roba del
mondo che non migliorerebbe al
moltiplicarsi dei narratori, buttata lì con noncuranza, è il sintomo di
uno snobismo che con suo e nostro piacere l'autore non fa nulla per
nascondere. Né gli riesce facile camuffare la presunzione quando
dichiara che - riferendosi ad autori viventi - ha percepito amaramente i
suoi limiti solo due volte: leggendo David Foster Wallace e Roberto
Bolano. Baricco è divertente e il suo stile noto: un po' geniale un po'
paraculo, ma che sappia scrivere è fuori discussione. A proposito di
viventi, insieme a Erri De Luca forse il miglior autore italiano: stili e
contenuto diversissimi e una comune, tangibile autostima piuttosto
spinta. Resta il fatto che "Una certa idea di mondo" si legge con gran
gusto e nasconde due o tre idee niente male (in realtà di più, ma non
vorrei si montasse la testa). Il rischio, a prenderlo troppo sul serio, è
quello di Baricchizzarsi, e se state provando a fare gli scrittori
(un'ostinazione che - come detto - lui sconsiglierebbe e allora non si
capisce perché abbia aperto una scuola di narrativa) è un guaio:
finirete a scrivere come lui, con tutti quegli svirgolamenti e singulti
sintattici che sembrano colpi di tosse. Ma il pregio è quello di
scoprire libri che non si sapeva nemmeno esistessero, per poi far
invidia agli amici quando in pizzeria - mentre tutti parlano
dell'ultimo lamentoso romanzo della Mazzantini - voi ve ne uscirete con
"Ma sul serio vi siete persi La cultura dei vinti di Wolfgang
Schivelbusch?"
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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