Passa ai contenuti principali

Musicista a domicilio

Sergio Caputo è un animale di razza, un istrionico talentuoso narratore di sbronze, amori e idiosincrasie di cui mi innamorai da liceale e che mi ha accompagnato con la sua chitarra e l'ironia acida per tutta la giovinezza. Un musicista che non somiglia a nessuno dei colleghi italiani, una bestia rara, il più marziano dei nostri cantautori (lui non ama essere definito così), il più sottile, il più apparentemente disimpegnato e il più profondo. Un genio? Probabilmente sì, capace di sconvolgere il pop italiano con una canzoncina leggera e drammatica sulla condizione di single prima che diventasse di moda esserlo (Bimba se sapessi, primi anni ottanta) e di proseguire con altre canzoni e album (Un sabato italiano, Italiani mambo, No smoking, Effetti personali) di qualità eccelsa e non sempre riconosciuta. Uno che con le parole ci ha sempre fatto quel che ha voluto, incastrando concetti complicati dentro una frase e un giro melodico come neanche il più ispirato De André è riuscito a fare, come neanche il Guccini tetro e padano. Caputo, De Gregori e Dalla - per motivi e con ispirazione diversissimi - sono i tre autentici fuoriclasse della canzone italiana, checché se ne dica. Ma si sa, l'Italia dei talent show manda ai festival gente senza arte né parte che scompare nell'arco di una stagione e Sergio Caputo non ha tra le sue qualità quella di essere accomodante, di sottostare ai compromessi. Non lo conosco di persona, ma deve essere così. Per cui, dopo la manciata di album strepitosi ma orecchiabili di cui sopra, creati da lui dall'inizio alla fine, dalle musiche, agli arrangiamenti ai testi, alla produzione, ha deciso di fare altro. Diciamo alla fine degli anni Ottanta. Album più complessi e maturi, soprattutto musicalmente. Epoca iniziata con Storie di whisky andati e proseguita con Lontano che vai, Sogno erotico sbagliato, Egomusicocefalo. Quattro album imperdibili per chi ama la musica d'autore, forse più dei precedenti, più conosciuti e popolari. Quattro dischi, una quarantina di canzoni in cui sogni e incubi si mischiano senza soluzione di continuità, tanto che è difficile distinguere gli uni dagli altri. Poi il trasferimento in California, e in mezzo - prima o dopo: non ricordo - un altro bel disco, un po' di maniera (I love jazz), un romanzo divertente e acuto (Disperatamente e in ritardo cane - Mondadori), un album strumentale (That kind of thing, raffinato e misconosciuto) e un cd unplugged strepitoso (A tu per tu) in cui rifà - voce, chitarra e armonica - alcuni suoi pezzi storici. L'idea del disco, uscito nel 2006 e dal sottoscritto consigliatissimo, è questa: "Io vengo a casa vostra e canto per voi le mie canzoni".
E allora che aspettate? Mettete il disco nel  lettore e chiudete gli occhi, immaginando che Sergio sia lì con voi in salotto, porgetegli una birra e il gioco è fatto. Poi magari ascoltate o riascoltate il resto, gli altri dischi e i due live (Ne approfitto per fare un po' di musica e La notte è un pazzo con le meches). Ma partite da A tu per tu. Se non avete il cuore di pietra e le orecchie guaste per la troppa tv, resterete rapiti da questi elfo dispettoso che usa le parole come un gatto usa gli artigli: per giocare, graffiare e lasciare segni che prudono e bruciano.

Commenti

Post popolari in questo blog

Avvento

Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra

Tre circostanze fortunate

Tu adesso chiudi gli occhi che io ti do un bacio. Chiudi gli occhi perché il bacio non devi vederlo arrivare, devi fare in modo che l'attesa sia una fitta dentro al petto, che la mia bocca s'aggrappi alla tua quando non ci contavi più, quando pensi che me ne sono andato e t'ho lasciata là, ingannata e cieca. Mentre aspetti il tempo ti sembrerà differente - il tempo dell'attesa di un bacio sfugge alla gabbia consueta - e se alla fine ti chiedessero di contarlo dovresti fare come i bambini, con le dita, e sarebbe lo stesso un inganno. Non è una questione di età, io ho la mia e tu la tua, non siamo alle prime armi. Ma anche la tenerezza - perché è di questo che stiamo parlando - muove con un tempo tutto strano, asincrono, ed è la stessa di quando avevamo vent'anni - tu più di recente - rinvigorita però dall'autostima, che alla giovinezza non si addice. Poi vorrei tenerti addosso, come in quella canzone di Paoli, stringerti alla mia camicia bianca e dirti che probab

Alcune ragioni contrarie all'infelicità

Perché sei infelice? Perché non riesci a starci dentro, alla felicità, per più di dieci minuti? Io credo che dovresti ragionare su queste domande, così intime e così terribili. Se vuoi ti do una mano, molti dicono che ci somigliamo, sarà più facile per me che per un altro suggerirti una via d'uscita. Sei infelice nonostante tu faccia tutti i giorni quello che ti piace. Pensa se non fosse successo, che avessi quei piccoli talenti che alcuni ti riconoscono: parlare in radio con disinvoltura, scrivere con leggiadria, tenere avvinti venticinque ragazzi con un poeta che per la prima volta non sembra loro inutile. Pensa se non avessi quei piccoli talenti ma fossi divorato dal desiderio di averli, e ogni tua invenzione passasse inosservata, o peggio fosse evitata come la peste. Questa attenzione che ti dedicano, non è già motivo di felicità? Le parole - lusinghiere -  che ti regalano a corredo delle tue, non sono una buona ragione per essere felici? E quando hai viaggiato per l'Italia