"Gli uccelli lo sanno che noi non sappiamo volare o pensano che non ne abbiamo voglia?" è la domanda fondamentale di questo sorprendente film di Silvio Soldini, Il comandante e la cicogna, dove il comandante è Giuseppe Garibaldi, o meglio la sua statua equestre, che contempla, assieme a quelle di Leonardo da Vinci, Giuseppe Verdi e Leopardi, le miserie morali dell'Italia di oggi e si chiede se non sarebbe stato meglio lasciar perdere tutto e rimanere sudditi dell'Austria. Una triste commedia fantastica, o se preferite una vivace tragedia allegra, quasi un film "alla Pasolini" per il regista di Pane e tulipani, un Uccellacci e uccelllini senza divagazioni cervellotiche, dove fantastico e quotidiano si fondono senza stridere l'uno con l'altro. E dove il padre di due figli (Valerio Mastandrea), rimasto vedovo per un banale incidente in mare, deve fare i conti con le divertenti apparizioni in bikini della moglie morta (una sexi Claudia Gerini) che sniffa caffé, con la primogenita, protagonista suo malgrado di un filmato erotico finito in rete, e col figlio tredicenne, che ha come unici amici una cicogna (per cui ruba teste di pesce e rane impanate nei supermarket) e un fannullone sovrappeso (Giuseppe Battiston: sempre strepitoso) che dispensa aforismi e lotta contro le insegne dei negozi che imbruttiscono le città ma poi è odioso come padrone di casa. C'è il ritratto di un'Italia gravemente ammalata di nevrosi, cattiveria e indifferenza, in questo film. C'è il politico corrotto, l'avvocato sciacallo (Luca Zingaretti, con parrucca quasi alla D'Artagnan), l'artista precaria (Alba Rohrwacher) che fatica a pagare l'affitto e si rassegna a fare un murales da quattro soldi per la megalomania del committente; ma ci sono anche le persone comuni, che si insultano e azzuffano per un parcheggio, rubano monetine dai parchimetri e gabbano, imbrogliano, aggirano le leggi appena è possibile. Poi c'è l'amore, che ricomincia quando tutto sembra finito, c'è la gelosia, c'è la testardaggine di fare centinaia di chilometri solo per andare a salvare un animale, la volontà di volersi bene, nonostante lo sfacelo intorno. Nel film si aggirano pezzi d'Italia, quasi tutti ignobili e scellerati. La salvezza, ci dice alla fine il regista, è nelle cose piccole, negli amori sussurrati: andare in Svizzera a salvare una cicogna (simbolo elementare ma prezioso di maternità da recuperare) e rallegrarsi che il tuo uomo abbia finalmente superato il lutto e ha il coraggio di amare un'altra donna sono in fondo sintomi dello stesso sentimento di generosità. Che è l'unica speranza praticabile nella desolazione in cui viviamo.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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