A Natale regalate Dago. E anche quando Natale sarà passato, a un compleanno, a un anniversario, una festa di laurea, regalate Dago. Magari tutta la serie, o un singolo numero, per ingolosire gli amici, a colori o in bianco e nero, in formato maxi o normale. Regalate Dago. E prima magari leggetelo. Perché Dago non è solo un fumetto, non permettete a nessuno di dirvi Leggi ancora i giornalini? se vi sorprende a sfogliarlo. Dago è arte. Per i disegni sensazionali di Alberto Salinas (prima) e di Carlos Gomez (poi), la puntigliosità dei dettagli e l'amore per la Storia che trasuda dalle sceneggiature del grande Robin Wood, capace di calarsi nella realtà complessa del XVI° secolo tra eserciti inzaccherati nel fango, battaglie campali, condottieri schizofrenici, galantuomini e assassini, città fiere, intrighi di palazzo, morte, rinascita, speranza, come ci fosse realmente vissuto. E perché Dago è una lezione di vita. Parla di coraggio, onestà, nobiltà d'animo (l'unica nobiltà cui va tutta la mia stima), coerenza, difesa dei più deboli, senza essere pedante o didascalico ma con tutta la veemenza della grande narrativa d'avventura. Un'opera epica, iniziata negli anni Ottanta e felicemente proseguita oggi in vari formati e pubblicazioni che traccia una riga indelebile nella tradizione del fumetto mondiale. E che ci suggerisce un paio di consigli per vivere meglio il nostro presente: vivere per poter ogni mattina guardarsi fieramente allo specchio, senza ricorrere a scorciatorie, amicizie di convenienza, sotterfugi. E vivere sempre e comunque con la schiena dritta, di fronte a chiunque, fosse anche l'uomo più potente del mondo, come fa Dago di fronte al re di Francia o al papa. Perché Dago è moderno, attuale: parla alla sua epoca, combatte le sue battaglie, muore e rinasce da schiavo a uomo libero. Ma le sue parole, le sue azioni, arrivano nel nostro tempo e sono potenti, e forse dovremmo cercare di seguire le sue tracce, il che non è - riduttivamente - solo il modo per divertirsi con le storie di un personaggio inventato ma la via per conoscere un uomo che dolori e ingiustizie hanno reso duro e migliore e la cui esemplarità è universale.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
Commenti
Posta un commento
Grazie per aver commentato il mio post