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L'ospite notturno (racconto)

Le 5 e 17 di mattina, non è più notte non è ancora giorno.
Mi sveglio di colpo, uno strappo netto dal sonno. L'ombra di un uomo s'aggira per la stanza, cerca di non far rumore, di non urtare i mobili. Si ferma davanti al letto matrimoniale, ne sfiora le sponde con le mani; è scalzo, lo capisco dai suoi passi: attutiti, felpati, come di gatto. Non è un ladro, avrebbe già colpito. Chi è? Che cosa vuole? Osserva me e mia moglie dormire - non capisco con quali intenzioni - in questa mattina presto d'agosto.
Siamo in vacanza, io e Lina: sette giorni di noia dopo un anno di lavoro. L'appartamento al mare è troppo sulla strada: chiasso di motori e adolescenti ubriachi che sbraitano fino a tardi. La settimana ventura saremo ai ferri corti, questo viaggio è l'ultima speranza. Il nostro matrimonio si è sfasciato come una macchina che perde i pezzi. Non di schianto, no; piuttosto, un poco alla volta, con noncuranza. Invecchia male, come noi. Logoro come lo sfilacciato mare dei pomeriggi che piove, bavoso e freddo che non invoglia a tuffarti.
Non è cambiato niente da che siamo qui; solo il mio umore da schizzato s'è fatto funebre, non più alti e bassi ma elettroencefalogramma piatto. Il mare mi fa di questi scherzi: Lina, perché m'hai convinto a venire?
Lina ha preso sonno subito, dopo l'ultimo screzio di ieri sera. Ha detto, soffiando le parole, Ti detesto, è crollata. Io mi sono addormentato dopo un po', con un deejay idiota a rintronarmi dalla spiaggia e davanti agli occhi la scena di quel tale oggi al minimarket che apriva al figlio le scatole dei cereali per fargli rubare gli adesivi di Garfield. Ho pensato a nostra figlia, che dovrebbe mettersi a dieta, cambiare tinta dei capelli, disintossicarsi da Twitter, smetterla di ascoltare i Tokyo  Hotel, il rap, la house, prima di diventare irrimediabilmente idiota. Come un qualsiasi adulto.
Mi sento soffocare: crisi da fame d'aria, ha detto il dottor Ballapardi. Mi ha prescritto un farmaco che non serve.
L'uomo ora è vicinissimo alla mia faccia, sento che mi scruta, conta le mie rughe, i miei capelli radi, avverte il mio alito. I suoi occhi si posano sugli occhiali, le Muratti lights, le Valda che tengo sul comodino. Prende in mano il libro in cima alla pila di cinque o sei che sono sul pavimento: In un tempo freddo e oscuro di Joe Lansdale. Passa le dita nel solco della rilegatura, come fosse il solco proibito di un'amante bambina. La sabbia che c'è finita dentro gli punge i polpastrelli. Legge qualche riga, poi lo rimette in cima al mucchio. La pila vacilla, ora cade.
No, lui la rimette in equilibrio, fa un rumore che non è un rumore: più uno strofinio di narrativa.
Si mette in ginocchio, sul tappeto che ho preso da Aziz a buon mercato. Ho contrattato un po'. Non avrei voluto. Lina ha detto che bisogna sempre tirare sul prezzo, che c'è il racket degli ambulanti e che questi marocchini vanno in giro con macchine che noi ci sogniamo. Mi ha morso qualcosa nello stomaco quando Aziz precisava a mia moglie di essere algerino e lei rispondeva Che differenza fa?

Il nostro ospite è ancora inginocchiato sul tappeto. Immagino lo punga l'odore delle coperte ai piedi del letto, delle lenzuola che teniamo tra le gambe per un impossibile refrigerio. Inspira la polvere e la stanchezza, il sudore dei nostri corpi. Sta un po' così, biascica qualcosa che non afferro, come un treno di parole legate assieme senza interpunzioni e stacchi. Un penitente che ripassa una giaculatoria.
Poi si alza, si avvicina a mia moglie e le bisbiglia qualcosa all'orecchio. Ho paura, sto per accendere la luce, mettermi a urlare, porre fine a quel gioco sadico. Ma sono come paralizzato.
Ora prenderà Lina e io non potrò fare nulla. Poi forse ci ucciderà, dopo aver fatto i suoi comodi anche con me. O forse no,  ho letto troppo noir tutti uguali.
Forse il nostro ospite è innocuo, è solo un tipo singolare che s'è introdotto in casa d'altri in un orario insolito. E se fosse il vicino di casa? Quel vecchietto bianco e pacifico che ci ha regalato il suo ombrellone tanto lui in spiaggia non ci va più? I vecchi fanno di queste cose. Sono socievoli, a volte un po' invadenti.
Se è il nostro vicino, vorrà riprendersi l'ombrellone? Si è pentito di avercelo dato? Ci scommetto che è antrato dalla finestra. Sei una stupida, Lina: ti ostini a tenerla spalancata perché dici che ti manca l'aria. Stupida, stupida...
Ora ti giri su un fianco, fai una smorfia che conosco. Come se niente fosse.

L'uomo si muove con sicurezza, sembra conoscere la stanza alla perfezione. Si avvicina alla finestra, guarda il chiarore del mattino. Apro gli occhi che ho finora tenuti socchiusi: è alto e pingue, un po' mi assomiglia. Decido di muovermi. Per rassicurarlo. Se sto troppo fermo capisce che sono sveglio. Piego le ginocchia, divento una specie di zeta.
Mi libero del cuscino, smanio: gesti che danno l'idea di uno che dorme e nel sonno brancola.
Una volta il dottor Ballapardi mi disse che siamo animali diurni: quel che accade di notte sfugge al nostro raziocinio. Di giorno a uno segue due e a due segue tre. Ciò che accade è spiegabile, a volte doloroso ma di un dolore aritmetico. Di notte tutto si rimescola, l'uomo è nudo al cospetto del suo cervello, zeppo di fantasmi. Due diventa dispari, tre pari e i sogni sono frammenti impazziti di noi.

Non voglio più star lì ad aspettare. I miei occhi ora spalancati faticano qualche secondo ad abituarsi al grigio della stanza. Farfalline di luce mi lampeggiano davanti, poi riconosco i miei alluci, lo scrittoio, la parete di fronte. Lui non c'è più. Tremo all'idea che si sia infilato sotto il letto, pronto ad afferrarmi le caviglie non appena metto giù i piedi.
Tace la stanza, impaurita.
Mi faccio coraggio, metto un piede per terra. Poi l'altro. Non perdo tempo a cercare le pantofole. Sono in piedi, poi subito a terra, ventre piatto contro il pavimento a esplorare la caverna dei sogni, il posto dove licantropi e strie si davano convegno nelle mie notti di ragazzino.
Sotto il letto mostri non ce ne sono più.
Un tramestio in bagno. Cauto, mi avvicino. La luce svogliata del giorno filtra dalle persiane. Una faccia allo specchio si allarga,sciupata. Capelli arruffati, barba ispida, strisce che l'attraversano, come di biacca.
Mio Dio, è una faccia che conosco.Stanca di una stanchezza incurabile, lo specchio ne tradisce gli anni, gli occhi di spento terrore, il sospetto del tempo che si assottiglia e bisogna fare presto, più presto. L'uomo è dietro di me, se mi volto scompare. Eccolo, è dietro di me, e dentro, e nella periferia dello specchio lo riconosco, per un attimo. Mi ricorda la mia faccia la prima volta che ho tradito Lina, il compiacimento che spense il senso di colpa. Vedo Laura, i suoi vent'anni, il mio orgoglio. Il suo corpo bianco sul letto, i nostri incontri settimanali. Vedo me che l'amo. Con lei la mia giovinezza.
La mia giovinezza che è fuggita via come un ladro. I giorni della bellezza, della vita che se ne infischiava di tutto, sono andati via. Come amici che all'alba rincasano e rimani solo a contare le bottiglie che hai bevuto, a  contare i danni.
Come il tempo che piega il suo sorriso in ghigno e ti invita ai funerali, a patetiche seconde nozze di finti giovanotti in camicie hawaiane. E' il tempo a confidarti che non c'è rimedio, che i tuoi giorni s'accorciano, come a settembre un po' prima ogni sera si spegne il sole.
A ottobre è finita l'estate e tu  non l'hai vista finire.
Laura rimane con me quando ho più paura; nuda s'allunga su di me, mi bacia. Mi elemosina del tepore che fa ripartire il mio sangue. Non le ho chiesto ancora per quanto sarà.

La faccia dietro di me, il mio ospite discreto, si sposta fino a sovrapporsi alla mia: è la mia;
l'ospite è dentro di me, sotto la mia pelle, nel mio cervello, nella malattia che m'avvelena il sangue e che tra pochi anni mi avrà vinto; è il me stesso che nasce dallo scempio di questa mia vita, il delatore che si china su Lina e le confida in un orecchio ogni tradimento, ogni gesto d'amore che per stanchezza evitai.
Non lo credevo così aspro, l'autunno. Furente e muto, strappa l'anima, mortifica i titani che siamo stati. E il me stesso ch'è venuto a cercarmi ha guardato e visto la sua miseria. Tra poco Lina si sveglierà col sospetto che sia stato solo un sogno ed io, che di illusioni riempivo la vita, saprò che non c'è sogno in grado di restituirmi la mia pace.

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