Non avvicinatevi a Francesco, non toccatelo, non chiedetegli di firmare i vostri dischi, non domandategli di spiegarvi una vecchia canzone. Lui è fatto così. Lo ammette lui stesso, senza mezzi termini. Francesco ha un cognome famoso: De Gregori, per brevità chiamato artista, come raccontava quattro anni fa, con l'album precedente. Ora torna con Sulla strada, nove canzoni ispirate, senza particolari guizzi (tranne in un caso) e senza infamia, con echi di Titanic (Ragazza del '95), di Pezzi (Belle epoque), di Calypsos (Falso movimento) e collaborazioni di vaglia con Malyka Ayane e Nicola Piovani. Frasi poetiche sempre convincenti, talora sorprendenti tanto che risalta una volta di più il talento letterario del Principe che non quello musicale, un po' appiattito negli anni dopo l'ispirazione magnifica della prima parte della carriera. Un album di maniera non è necessariamente un album da disprezzare. Non è Viva l'Italia, non è Scacchi e tarocchi e nemmeno Canzoni d'amore ma un album onesto, breve come il Novecento evocato qua e là nelle tracce, cantato magnificamente e suonato da ottimi esecutori. "Sono un libro aperto"canta in Falso movimento il cantautore romano, una bella e pudica canzone d'amore: "Tu mi guardi negli occhi/io non so dove guardarti". Ma alla fine, di questo album, negli anni resterà soprattutto una canzone: il caso, l'eccezione cui accennavo prima. Si intitola Guarda che non sono io, ci ha messo quarant'anni per scriverla. Parla della sua misantropia, sincero come forse non è mai stato. Almeno parlando di se stesso. E allora non rivolgetegli la parola, piove, ha le buste della spesa in mano, vi state sbagliando, non è lui che può capire il tempo e spiegarvi il mondo. Sembra Montale, quando scrive "Non chiederci la parola che squadri da ogni lato l'animo nostro informe/ e a lettere di fuoco lo dichiari/e risplenda come un croco perduto in mezzo a un polveroso prato". L'artista nulla sa, nulla vuole gli sia chiesto. Diluvia, la strada è lunga, ha le ossa gelate. La sua piccola busta della spesa, pochi centesimi di cena, è tutto quello che ha.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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