Animali parlanti, fantasmi di fanciulle suicide, poesie in cerca d'autore, frikkettoni, baroni universitari, motociclisti, feste paesane, valzer compromettenti, fisarmonicisti di talento, figli emigrati, pittori in crisi d'ispirazione, giocatori di rugby, vecchie fattucchiere: c'è forse troppa roba nel nuovo romanzo di Stefano Benni, Di tutte le ricchezze, impreziosito dalla splendida copertina di Giuseppe Palumbo. Un libro che parla fondamentalmente di vecchiaia, rimpianti e nuove occasioni. E lo fa col linguaggio consueto del Benni più inventivo, ancorché qua e là colpevole di una qualche pagina pigra o tirata via come per un'urgenza di conclusione. L'amore tardivo che il vecchio Martin - professore in pensione, donnaiolo, con una relazione tragica alle spalle, che ha scelto di vivere isolato in un bosco - coltiva per una imprevista vicina trentenne dalle fattezze cinematografiche ricorda il vecchio mito di Faust mentre il suo perder tempo appresso a un saggio sulla poesia giullaresca sa di riempitivo. Divertenti sono invece le parti dedicate al Catena, poeta e (forse) pittore (ma i suoi quadri non sono mai stati trovati) morto suicida in manicomio negli anni Trenta. L'indagine di Martin sulle tracce del pazzo lo portano a metter finalmente le mani su un suo autoritratto (che regalerà a un uomo infido) e a una scoperta un tantino prevedibile intorno alla sua fine, legata a filo doppio a una antica vicenda di oppressione familiare e matrimoni imposti virata a sua volta in tragedia. Ma è solo un istante, il fantasma di una ragazza infelice appare solo un attimo sulle rive del lago dove annegò e il prof penserà a un'allucinazione. Poi tutto tornerà a scorrere placido e consueto e potrà sembrare a tutti, perfino al lettore, che si sia trattato di un sogno. Da cui ridestarsi considerando però nuove possibilità di vita.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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