Perchè si dimentica troppo facilmente, mi ha scritto come dedica sul suo libro Alessandro Di Virgilio. Una dedica non scontata, non la solita firma tirata via di fretta, ma una frase che ti costringe a pensare. Il libro è un libro a fumetti, graphic novel, si dice oggi. Di Virgilio lo ha sceneggiato e Emilio Lecce disegnato. La storia è la storia drammatica del giornalista Giancarlo Siani, ucciso dalla camorra il 23 settembre del 1985, a 26 anni. Fortapàsc, il bel film di Marco Risi, ne racconta in modo dettagliato gli ultimi mesi di vita. Nel fumetto la storia è fatta di flashback e piccoli ritratti di vita familiare: la nascita di Giancarlo, la nonna che vuole un bacio in cambio di una caramella e lui che non si piega al "ricatto", la sua macchina verde riconoscibilissima per le strade di Torre Annunziata, lo scetticismo dei caporedattori che scoraggiano il ragazzo dall'intraprendere un mestiere del genere. Lavorava come precario al Mattino di Napoli, Giancarlo, quando fu ucciso. Coi suoi articoli dava fastidio ai clan malavitosi, che alla fine firmarono la sua condanna a morte. Il fratello Paolo, di quattro anni più grande, ricorda una marcia della pace a Roma: col gesso disegna il simbolo della pace sulla guancia di Giancarlo, e lui gli sorride. Il sorriso di suo fratello, ricordo scelto tra tanti. Ogni tanto nasce uno come Siani, uno che non è al soldo di nessuno, che non scrive articoli per compiacere il padrone di turno, che non segue le direttive della testata, per dirla con eleganza. Ha avuto ragione Di Virgilio, a scrivermi quella dedica: non bisogna dimenticare. Perchè di animali strani come Giancarlo ce ne sono pochi in giro. E quei pochi bisogna tutelarli e dargli voce con tutta la forza che ci permette la nostra coscienza di uomini intorpiditi. E perchè a nominare Siani, oggi a Napoli, non ci si senta più rispondere: "Siani chi? Il comico?".
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...
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