Credo che la prima canzone che ho ascoltato in vita mia di Lucio Dalla sia stata L'anno che verrà, avrò avuto otto anni. Mi piacque, anche se non capivo del tutto che volesse dire. Soprattutto non capivo perché i preti avrebbero potuto sposarsi, ma soltanto a una certa età. E mi sembrava divertente pensare a un anno in cui sarebbe stato tre volte Natale. Poi ho preso ad ascoltare Dalla con più attenzione alle Medie. Mi piacevano da matti quelle canzoni sghembe, contromano, che solo lui sapeva scrivere. E quelle frasi cantate a precipizio dentro un filo di note che solo lui ce le poteva infilare. Quanti capelli che hai/non si riesce a contare/Sposta la bottiglia e lasciami guardare/se di tanti capelli ci si può fidare. La ballavo con una ragazzina che mi faceva ammattire, in quarta ginnasio, alle feste scolastiche del sabato pomeriggio. Stringevo più che potevo e lei si scostava, ma non troppo. Andava più sul rock inglese, lei: Robert Palmer, roba così. Mi piaceva John & Mary, ma Dalla era Dalla. E lei alla fine ballava solo con me, a patto che poi mettessi Phil Collins, o Bowie. Poi venne Borotalco, il film più nostalgico di Verdone, a rivederlo oggi: vintage puro. C'era Eleonora Giorgi che ammattiva per Lucio. E per Burt Reynolds, aggiungeva. Ho la videocassetta, da qualche parte. Registrai il film da Rete 4, stando bene attento a tagliare la pubblicità. Ora che Lucio se n'è andato senza darci il tempo di capire se la vecchiaia lo avrebbe addomesticato, mi chiedono di indicare la sua canzone migliore. Un sito internet, specializzato in sondaggi. Come se il cuore, la giovinezza, il primo amore, la scuola, gli anni Ottanta, si potessero ingabbiare in un sondaggio. Al massimo posso dire quali sono gli album con cui secondo me Lucio toccò le vette celesti: 1983 e Viaggi organizzati. Incompleto il primo (solo 6 brani + un pezzo strumentale autoironico: Stronzo) e sperimentalissimo il secondo. Senza nulla togliere ai dischi più celebri, due capolavori di rara bellezza e ispirazione.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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