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Visualizzazione dei post da ottobre, 2025

Foto di famiglia

C'è stato un tempo, ormai morto, in cui la famiglia allargata si radunava la domenica per il pranzo solenne e per le partite di pallone . Non tutte le settimane, ma se capitava che a qualcuno venisse l'idea, si facevano le cose per bene. Vi racconto come. Allora, non si poteva cominciare a mangiare più tardi dell'una perché altrimenti non ci sarebbe stato il tempo per il liquore e per digerire almeno la lasagna, anzi che ci fosse il calcio d'inizio . Alle tre la tavola doveva essere sgombra, a parte i dolcetti che venivano lasciati per chi si fosse fatto goloso tra il primo e il secondo tempo. Le donne di casa erano onorate di fiori e promesse di pomeriggi al cinema , in cambio del menù che avevano preparato, e naturalmente gli uomini lavavano i piatti e rigovernavano il disordine. La stanza del camino, da sempre detta misteriosamente cucina vecchia , che in realtà cucina non era mai stata, era la nostra tribuna Monte Mario . Si schieravano le poltrone a semicerchi...

Alfredo

Alfredo mi dice a che serve uno scrittore . Non è che me lo chiede, e del resto lui non lo è: me lo dice proprio. Me lo dice perché intuisce talora in me una qualche stanchezza e vorrebbe che io non smettessi di scrivere. La tentazione ce l'ho, naturalmente. Ce l'ho quando faccio una fatica del diavolo per un risultato  trascurabile, ce l'ho quando mi ricoprono di elogi ma poi per vendere un libro devo raccomandarmi ai santi, ce l'ho quando un idraulico per cambiare una guarnizione e con dieci minuti di lavoro mi chiede ottanta euro. Alfredo mi prega di non smettere, un po' perché gli piace quello che scrivo (sono il suo sollazzo preferito) e un po' perché ha intuito che se c'è una cosa che potevo fare nella vita è questa. Mi invidia perché vivere di parole è fantastico, ma lui fa il commercialista, capite che razza di paraculo? Siccome gli voglio bene da che andavamo a scuola insieme, lo sto a sentire più di quanto stia a sentire tanta altra gente. Mi ra...

Domenica

Papà la domenica era di buon umore, mi mostrava il buon umore in quel modo: una volta alla settimana. Prendeva e usciva, ma prima si radeva per bene e se era davvero contento, non solo ilare, si metteva una cravatta di lana e una giacca che non ci diceva un gran che. Lo aspettavo a casa, avevo sette, otto anni. Andava e sembrava non tornare mai, sostava in piazza coi suoi amici neanche quarantenni, oggi morti o decrepiti, e questo dà la misura del tempo, che è un fantastico ingannatore. La domenica papà aveva le mani bucate, oltre al buon umore, e anche questa era una stravaganza settimanale, una vacanza non so quanto consapevole dalla parsimonia. Tornava col Messaggero , Epoca , le figurine degli animali , e si metteva a leggere in poltrona, come pare facessero milioni di italiani la domenica verso l'ora di pranzo. Fuori, per la strada, sui treni, sugli aerei, ammazzavano la gente come fosse un film e io attaccavo l' ornitorinco e il fennec , stando attento a restare nei bord...