Tra i sentimenti indecisi amo la nostalgia, freno a mano della
disperazione e anticamera della felicità. La ritrovo nei giorni che
lascio tutto sospeso, come un prestigiatore, e viaggio al mare, e mentre
il pubblico trattiene il fiato io ricammino quella salita di Tarquinia,
passo davanti al busto di Mazzini, alla gelateria biologica, e in cima
svolto l'angolo ed eccola lì, la trattoria che spinge indietro il tempo.
Il bello delle cose consuete è che non tradiscono, aspettano
che te ne ricordi e intanto sostano, benché attorno a loro tutto
cambia. Lassù bevemmo un vino di troppo, io allegrai e m'alleggerii di
tanti pesi tutto assieme, e forse rinnegai l'astemio che spergiuro di
essere. Poi finì la sera e prese a piovere notte, a morire marzo e
nascere aprile, e precipitati in albergo anche noi nascemmo insieme fino
a morirne per una magnificenza che non esiste se non la corteggi
sanguinario. Chissà se in altri anni, in un altro secolo, in un'altra
città, al taglio di Suez, sotto il muro a Berlino, a
Gettysburg tra le fiamme, a Gerusalemme un attimo prima che morisse
Cristo, sarei stato più pieno, più felice; e se i libri che ho letto
potevano essere altri, più opportuni, e la mia intelligenza più sveglia,
e la mia scrittura più capace; e se non mi fosse piaciuto scrivere ma
costruire case? rivoltare zolle? rubare? dire falsa testimonianza?
Chissà se sono nato per caso qui e ora, e ora ho 49 anni e mi disaffeziono da tutto per paura che sia nulla e tutto inseguo però, come un cercatore di piste, o se solo qui e ora la mia vita poteva
avere senso, patimento e consolazione. Io credo che altrove sarei stato altro da me, meno imbronciato in braccio a mio padre ma magari ridevo, e non avrei sofferto il tormento tiepido delle dimenticanze che improvvisamente sovvieni, e delle buffe tuffate dentro vecchie stagioni come vecchie piscine, e sbatti di pancia, e quando risali ce l'hai tutta rossa e ti fa male, quello schiaffo d'acqua. Eppercui non credo al rammarico degli infiniti mondi possibili perché sarei stato non io ma un impostore ma io amo essere io ed è perfino inutile immaginarcisi, tempo sciocco, da impiegare meglio: tra le tue gambe, implorandoti un sorriso, a scacciarti come stamattina una nuvoletta che ti passa agli occhi; e solo qui adesso e ora dal mio metroesettantadue e nei miei calzoni posso fare scrivere immaginare e vivere esattamente come avrei voluto in qualunque altra circostanza.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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