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Visualizzazione dei post da 2021

Capodanno

Il sole si bagna nel mare di Corfù, ho diciannove anni, è il 1986. L'albergo ha i muri bianchi, e col blu dello Jonio mi fanno venir voglia di rimanere qui per sempre, di farmi greco, aprire una botteguccia di αμφορείς e campare felice per il resto dei miei giorni. La mia ragazza ha la pelle salata, ha detto Vado a togliermi la sabbia di dosso , è sotto la doccia. Mi lascerà tra due mesi e diciassette giorni, il ventotto di ottobre, per stare con un tale che lei definirà più strutturato , ma in questo momento non ne ho il minimo sospetto, e allora la vita è grandiosa. Sotto la finestra dalle tende gonfie di vento passano i venditori di corbezzoli e si chiamano l'un l'altro con nomi che somigliano a quelli degli eroi omerici ma senza averne la ferocia: ridono, si raccontano barzellette sconce, si danno appuntamento in taverna. Siamo qui con altri due amici, alloggiano tre camere dopo la nostra, un altro uomo e un'altra donna. Siamo all'avventura ma i soldi stanno fin

Regalo di Natale

  Tu che dici di conoscermi, che hai viaggiato con me un gran pezzo di vita, dimmi: io chi sono? Tu che hai parlato di me alle tue amiche, e hai confessato loro di amarmi, dimmi: io chi sono? Tu che mi prendevi la febbre, e stavi in piedi tutta la notte quando deliravo, dimmi: io chi sono? Tu che per troppo amore, o per amore mal controllato, mi hai deriso davanti alla gente, dimmi: io chi sono? E tu che mi ti sei trasformata agli occhi e sei la ragione di ogni spavento e della felicità, dimmi: io chi sono? Raccontate Francesco a Francesco, anime mie, svelatemi, illuminate il palcoscenico, non abbiate paura. Ho questo desiderio: che mi definiate, che mi indichiate quel che posso solo immaginare, quel che non arrivo a intuire, quel che è storto e quel che è dritto di ogni mio gesto, e infine quel che biasimate sottovoce della mia natura. Gli uomini non si apprendono se non nel giudizio degli altri - io temo - e allora siate giudici, siate pubblico ministero e corte di cassazione, siate

Io, lettore

Ma te, che hai letto tutti quei libri, a che ti sono serviti? La domanda arriva come un colpo di mannaia mentre devo ancora mettere il caffè sul fuoco, alle sette del mattino di una domenica di freddo trasparente. Mi scrive un tale che non conosco, e poi rincara la dose commentando acidamente un video sui Beatles del mio canale Youtube. Non so come lei faccia a sapere che ho letto un po' di libri - gli rispondo - e comunque le confesso che sono assai di meno di quelli che avrei potuto . Chiudo lì la conversazione - non me ne importa più di tanto - e faccio colazione con le tovagliette natalizie. Poco dopo, lavata la tazzina e messo via il panettone, ripenso a ciò che ho risposto a quel provocatore - ce ne sono, è un mestiere come un altro, solo più stupido perché non ci guadagni un soldo. E a un verbo che mi è uscito al posto di un altro, più ragionevole. Ho scritto Avrei potuto , non Avrei voluto : ci passa tutta la differenza del mondo, come chiunque - tranne quel tapino - può

Punto e a capo

E all'improvviso, cinque minuti fa, mi sono accorto di essere felice. Felice di una felicità pedestre, beninteso, una felicità bagno camera e cucina, angusta, con la effe minuscola, ma che si ostina a sopravvivere nonostante , anzi che gioca il nonostante a suo favore. Non contano allora gli anni che passano, i vicini molesti, i guai che lampeggiano all'improvviso: tutto si ridimensiona, tutto lascia il tempo che trova, e io alle seccature gliene mollo meno che posso. Così facendo, quelle si stancano e vanno via e il tempo che a loro volta lasciano sono io ad abitarlo: di fantasie che mi danno allegria e del senso compiuto dei giorni. Ho scoperto - e non è che ci volesse molto ma non sono uno che ci arriva subito, sulle cose - che se dai densità, mettiamo, a un martedì, lui quando finisce ti lascia addosso un che di soddisfatta euforia, una patina biancastra come quella che si posa sul cioccolato quando invecchia. Ecco, io invecchio con una sorta di appiccicosa armatura spalma

La vergogna

Alle sette del mattino l'ambulatorio è già affollato, siamo tutti in fila, in attesa che ci prelevino il sangue. Ogni tanto da una porta esce un infermiere che chiama un numero - la persona con quel numero in mano entra a capo chino dentro un corridoio stretto e lungo, pavimentato di linoleum verdognolo, che termina in un disimpegno dove ci stanno tre seggiole senza schienale. Fuori, noi che siamo in piedi parliamo di malavoglia, e solo per commentare la lentezza delle operazioni, e il freddo che sventaglia dall'ingresso principale. Tutti teniamo in mano la nostra urina. Chi in un cilindro di plastica, chi in un bicchiere graduato, chi in una bottiglina da succo di frutta. Tutti abbiamo avvolto quei contenitori nella carta stagnola, o in un kleenex, o dentro tre o quattro tovaglioli decorati, e li stringiamo al petto, li nascondiamo dietro al giornale, ne abbiamo vergogna. A un certo punto arriva un uomo grande e grosso, uno spaccamontagne, pretende di saltare la fila, dice che

Dio? È di sinistra

A mezzanotte i musicisti escono dal locale per fumare e riprender fiato. Bevono disordinatamente mischiando birra, whisky e vino, parlano del concerto, sono lucidissimi, tireranno tardi mentre io casco dal sonno. Hanno appena finito di suonare, io e mia figlia di mangiare e starli a sentire: dio se son bravi. È la mia vita, questa frequentazione di artisti, il mio destino. Non riesco a star lontano dai posti dove si canta, si spacciano libri, si recita a soggetto: è talmente la mia vita che ne ho fatto un mestiere. Anzi: più d'uno. Vado a far la spesa grazie a De Gregori, cambio la batteria della macchina per buona grazia di Umberto Orsini, passo una settimana al mare per intercessione di Cardarelli. Mi pagano per parlarne in radio e per raccontarli in pubblico, e fortuna che mangio come un uccellino e prenoto sempre la mezza pensione, o il denaro non basterebbe. Ma tant'è, tutto questo trambusto somiglia alla felicità e la felicità è meglio di niente. È successo che un po'

Tra le voci

Mi son svegliato con questa fissa in testa: Devo scrivere del Natale della mia infanzia , ma cosa posso scrivere di quell'epoca lì che non abbia già scritto fino alla noia? Il guaio è che di questi tempi - ogni anno, verso gli ultimi di novembre - mi afferra la nostalgia più spietata di tutte: quella che non posso soddisfare. Per tornare al 1973 mi servirebbe una macchina che non hanno ancora inventato, o un sogno così vivido come non ne ho mai fatti. Né aiuta imitare i preparativi che si facevano allora: comprare gli ingredienti per cento pampepati, ordinare il macinato a grana fina per i cappelletti, controllare che le lucine dell'albero si accendano dopo un anno passato nelle valigie, farsi portare dal facchino con l'ape i quintali di legna necessari a scavallare gennaio. Di cento pampepati se ne sprecherebbero novanta: siamo rimasti in così pochi che potremmo festeggiare il Natale dentro una macchina. E anche di tutto il resto non c'è più la gente che se ne occupav

Alien

  Tra un milione di anni qualcuno con occhi più acuti dei nostri guarderà la terra e vedrà le cose per cui ci siamo tanto dannati morte lì, in un angolo. Passerà un'astronave e farà un rumore di soffio, come di capelli sfilati dal pettine, e lo spostamento d'aria le farà ravvivare - dopo tutto quel gran tempo immobile - come le scaglie di fuoco sotto la cenere. Prima dell'estinzione un uomo di buon cuore, con le  forze che restano e una scopa gigante, le avrà radunate assieme, per fare un po' d'ordine, e sarà stato quello, finalmente, l'ultimo gesto dell'umanità. Là nel cantone, gli occhi marziani faranno caso alle bugie, alle imposture, ai giochi di potere della gente comune, più che alle atrocità della storia: avranno quell'istinto esatto. Vedranno quando mi hai tradito, amore, e hai passato il fine settimana con un uomo che non ero io. Vedranno quando mi hai deriso, padre, davanti agli amici in combriccola. Vedranno quando mi hai elogiato, amico, perc

Vecchi amici

Stanotte sotto casa mia, seduto sul cordolo di mattoni che cinge il parco dei partigiani, c'era dio. Sono sceso in ciabatte, scarmigliato, e alle due e venti del mattino ci siam messi a chiacchierare come vecchi amici. Si è scusato per l'improvvisata, dice che l'ha deciso all'ultimo, di raggiungermi, e che fino al giorno prima aveva una mezza idea di fare un salto al mare. Poi però pioveva e ha cambiato programma. Già che c'era, aveva da chiedermi una cosa - una cosa lui a me, roba da matti - e io malgrado il sonno ho spalancato le orecchie. L'ha presa alla lontana, così mi è parso. Ha detto Stai tranquillo che per tutti i giorni storti, cattivi e strani ti spetterà una ricompensa. Mica avrai pensato che il dolore è un vuoto a perdere? Poi quando ha visto che ero rassicurato è andato al punto. Però , ha detto, però: senti una roba . E si è avventurato in un ragionamento più grande di lui, tanto che certe parti le ho afferrate e certe no. Ho capito che si stava

La febbre del caffè

Ho conosciuto un uomo che fa un mestiere minuzioso, non saprei definirlo in altro modo. A Roma, in una traversa dietro piazza Navona, c'è un bar dove questo signore - che avrà la mia età e agisce con uno scrupolo che forse io non ho mai avuto per i mestieri che ho fatto - misura con una sorta di termometro sottile la temperatura del caffè. Prima che venga servito, inserisce nel caffè già in tazza la punta di quel suo stiletto e in un paio di secondi legge i gradi sul display. Se non sono quelli pretesi dal cliente, lo fa scaldare o raffreddare dal barman quel tanto che basta a renderli perfetti. Indossa dei guanti di lattice e dopo ogni misurazione sterilizza quel suo aggeggino sotto un getto di vapore bollente. Fa tutto a una velocità sorprendente, dovreste vederlo. Nel tempo che io ci ho messo a scrivere queste quattro righe avrebbe potuto compiere quell'operazione una ventina di volte. Si è sparsa la voce, mi raccontava un amico, e c'è sempre la fila. Prima era una moda,

La mia ragazza

Mi hanno detto che dovevo amarti e per non farmelo dimenticare me l'hanno scritto nel Dna. Così adesso non posso sottrarmi e la vita che ne deriva è atroce e piena, talmente colma che posto per altro non c'è. Questo è l'amore che posso darti, ragazza che eri bambina e prima ancora una pancia prominente, un amore che non ho scelto, non ho voluto, ma quando l'ho avuto ho scoperto che se ne fossi stato escluso lo avrei desiderato più di qualunque altro. Perdonami se sono contorto, non riesco oggi a scrivere più chiaro, non c'è niente di lineare in questa storia umana che è tutta nel rapporto tra noi due, che siamo teneri nemici. Sta, tutto il mondo che conosco, tutti i suoi sentimenti arditi, in questo contenitore che siamo io e te: lotte, guerre, battaglie, scaramucce, riappacificazioni, incomprensioni, tenerezze, ripicche, confidenze, pianti, strepiti e allegria. E fame, e sete, quando non ti vedo tornare, che la fame e la sete vere sono sciocchezze. E ansia e paura,

L'immaginazione

La mia insonnia balbuziente fa e disfa le notti a suo piacimento, e come chi s'imbroglia con le parole, e ci inciampa e a parlare sembra che patisca, così il mio riposo è spezzato e in difetto, s'interrompe e ricomincia da capo, e non riesce a fare un discorso intero neanche a pagarlo. Il vantaggio è che tra uno stordimento e l'altro ho tempo per pensare e per desiderare. È soprattutto il desiderio che mi vien bene, perché si sposa col buio e col silenzio, e le nozze lo fanno temerario. I miei piedi sono già in fondo al letto, a quel punto, dove ho rimboccato con cura lenzuola e piumone. Da laggiù il tepore sale alle gambe, poi al ventre, al torace e alle spalle, fino a coprirmi tutto. Il piacere aumenta se riesco a immaginarmi altrove, non dentro la mia camera ma in aperta campagna, in una brughiera licantropa, dentro una caverna al colmo di una montagna severa. Lì mi godo la notte stellata che sta appesa al cielo, fredda e silente, e accendo un fuoco all'entrata, per

Déjà-vu

Nove anni fa alloggiai in un appartamento a Siracusa dove ero convinto di aver già abitato, tanto che ne ricordavo le stanze, il soffitto basso e la foggia dei mobili. Era una specie di scantinato ma a suo modo grazioso, pieno in ogni angolo di animaletti in ferro battuto. Stava accanto a una caffè che già all'alba invadeva i vicoli di Ortigia col profumo delle pastafrolle al pistacchio e degli arancini, e a quattro passi da una cartoleria dove - senza esserci mai entrato - ero certo d'aver comprato un romanzo di Sciascia. In stagioni ancora più antiche - sarà stato il '99 - prenotai un albergo a Cattolica la cui sala da pranzo mi procurò un senso di vertigine: era come familiare, avrei saputo dire il colore delle pareti e la disposizione dei tavoli anche se mi avessero bendato. E lo stesso la camera che ci diedero: la seicentouno. Ci avevo già dormito, ne ero straconvinto. La sensazione arrivò all'improvviso, gelida, e la tenni per me. E poi in altre occasioni - in un

L'ospite notturno

Una figura fa capolino la sera, dalla finestra al piano terra di una casa dove ho abitato ragazzo. Si intravede appena dal torace in su, è in ombra, non so chi sia. Sta lì per un po' mentre guardo la televisione, poi se ne va, passato qualche minuto, senza dire niente, senza un gesto. Ogni tanto torno in quella casa e torna anche lui, l'ospite misterioso. Magari viene tutte le sere, ma quando non ci sono trova solo una stanza vuota, un camino spento. Qualche volta mette le mani sulle tempie e si avvicina al vetro, come per guardare meglio. Un po' mi ha fatto paura, le prime volte. Ora mi ci sono abituato, lo aspetto - do per scontato che sia un uomo, ma le cose che diamo per scontate sono le più ingannevoli. È abitudinario, arriva sempre qualche minuto prima delle nove e si trattiene il tempo necessario a non diventar molesto, come avesse una suoneria che lo avverte quando comincia a dar fastidio. Dovremmo averlo tutti un orologio che trilla quando diventiamo irritanti. Una

La fregola

Solo stamattina, alla bella età di anni cinquantaquattro, entrando in libreria mi sono finalmente stupito di quanti libri si pubblichino e quanto sia breve la permanenza delle nuove uscite sugli scaffali. Scriviamo forsennatamente - benché sia la penultima ruota del carro mi ci infilo anch'io tra i dissennati della narrazione - e sgomitiamo tra di noi per un centimetro quadrato in più di spazio in vetrina. Mi son così venute in fantasia un paio di piccole considerazioni che vorrei condividere con voi. La prima è che la scrittura è la forma d'arte più praticata perché erroneamente è ritenuta la più semplice. I pianisti, i pittori, gli scultori, non sono certo numerosi quanto gli scrittori, neanche messi tutti assieme. Un bel po' di persone, pur ammettendo che per praticare altre arti occorra studiare e studiare, non sono dello stesso avviso per la scrittura: quella è un gesto istintivo, una necessità primordiale, basta mettere in fila tre pensieri in una forma decente (cosa

Il sacco dei desideri

Una sera, molto prima della grande tenebra, eravamo a cena, io e Alessandra, in una trattoria a Spoleto, su quella via svirgolante, inarcata come un'onda gentile, che porta al duomo, celandolo però fino all'ultimo perché è tutta curve coperte, e l'apparire della bellezza è all'improvviso. Mi pare che fosse aprile, che è il mese che più amo, ammesso che si possa amare il tempo, e per antagonismo al momento del dolce ci venne di ricapitolare l'università fatta fin lì, gli esami assurdi come Glottologia e Letterature comparate, e prendemmo a ragionare di dialetti e parlamenti antichi, e uscimmo nel discorso con certe formule scaramantiche della tradizione popolare che avevamo trovato nei sonetti di Gioacchino Belli. Nonostante fossimo piuttosto affiatati, scoprimmo solo quella sera che a entrambi piaceva la melodia trasteverina delle parole buffe e ricordammo che espressioni simili le usavano anche i nostri nonni quando amavano intercalare. Poi restammo zitti per un po

Franciusaglie

Appena scatta il rosso il ragazzo al semaforo di via dello Stadio diventa giocoliere, lancia in aria i suoi tre cerchi e li prende al volo. Ha misurato il numero sui secondi che ha a disposizione, e qualche attimo prima che torni il verde sfila tra le auto rimediando piccole monete. Alla fine della questua si sposta di lato e fa un inchino. Davanti al tribunale i bar sono gremiti di avvocati in pausa. Parlano tra loro a voce alta, commentando una sentenza, un rinvio a giudizio. Anche chi come me passa distratto, lunare, non può fare a meno di intuire il gusto un poco cinico che provano a far quel mestiere, da che esiste. In piazza Ridolfi i consulenti finanziari di una banca costruita intorno a me mi corteggiano come volessero violarmi: sodomia triste del denaro. Preferisco i peccati allegri dell'erotismo. Al mercatino che affaccia davanti alle vetrine di Max Mara, azienda che ha un fatturato da un miliardo e mezzo l'anno, gli ambulanti vendono casacche multicolore a nove euro

La nostra fantasia

Di tutte le tentazioni spenderecce che mi ritrovo, quella per le candele è la più ricorrente. Compro candele ogni volta che viaggio, e da qualche parte, sotto alla base di metallo, scrivo la data e la città, perché un domani non possa confondermi ad assegnare tenerezze ai posti sbagliati. Poi a casa spero faccia buio in fretta, per accenderle, e sono sempre candele lavorate ad arte, coi fili dorati sulla cera, gli angeli paffuti in rilievo, e se sono infilate in un'urna di ceramica c'è un'apertura a forma di grotta di Betlemme o di porta araba attraverso cui riverbera la fiamma. Certe sere accendo tutte quelle che ho a portata di mano, spengo l'elettricità e sto lì a guardare la bellezza che prende forma. La qual scena assume una piega cimiteriale, secondo un paio di amici sprovvisti di immaginazione, e invece è il contrario: in quel momento ho attorno, invisibili e veri, tutti coloro che sono partiti - chi improvvisamente chi annunciandolo - lasciandomi attonito soprav

Tuttavia

Ho cominciato a invidiare i miei nonni, persone dalla vita piana, che ero già adulto. Prima no, prima ero certo che si fossero annoiati a morte a fare per ottant'anni tutti i giorni lo stesso numero di passi dentro lo stesso tragitto - casa, lavoro, bottega di alimentari - e a pronunciare le medesime centocinquanta parole al cospetto di circostanze sempre uguali. Poi ho capito che quel sistema ripetuto dava loro una parvenza di eternità, perché a replicare all'infinito gli stessi comportamenti ci si illude che infiniti lo saranno sul serio, e di ingannare la morte. Neanche tutta quella accortezza di linguaggio era per malavoglia, o ignoranza, ma perché - da signori avveduti quali erano - sapevano che di parole davvero necessarie ne esistono poche e che la gran parte di esse sono inadatte a vestire degnamente i sentimenti. Dunque, io ho avuto voglia di una vita mossa finché non ha preso a muoversi schizofrenicamente, ed è stato come quei desideri che quando si realizzano diventa

Il popolo dell'autunno

Ci sono uomini che somigliano alle stagioni e ogni tre mesi cambiano carattere. Sono uomini dalla natura esposta come i banchi al mercato, indecisi tra il piovere e il tirar di vento, tra l'esser canicola e il diventar tempesta. La loro indole è dunque lunatica e vanno presi per il verso giusto, pretendono che li si capisca a ogni mutazione, sono capricciosi e spesso cercano una donna che abbia le medesime ubbìe, così da metter su famiglia in un manicomio. Ne ho conosciuti un paio, di personaggi del genere: eravamo amici e forse lo siamo ancora ma il guaio e che non ce lo rinfacciamo da tanto e può anche darsi che l'amicizia non rinfacciata a un certo punto muoia. Io per conto mio spero invece d'essere d'un unico colore, che poi è un mucchio, perché ho una stagione sola a cui affamigliarmi ma è variopinta,  tanto che se un pittore mi volesse ritrarre verrebbe un acquerello col rosso bruciato delle foglie d'ottobre, il verdolino dei parchi di città, il bianco sporco

Forte

La città vive di brume, fumi densi e catrame. Eppure oggi è dolce camminarla, eppure è allegro. Taglio per via Lungonera, brucio la passerella sul fiume, sbuco davanti al tribunale e lì è già centro, già vedo gente che s'aggruma. Avvocati che fanno l'aperitivo, innamorati che non si decidono a dichiararsi, borseggiatori, donne eleganti che a un tavolino leggono Stendhal, vecchi pieni di bellezza e vecchi pieni di rimpianti: lo capisci da come si muovono, da come dondolano la testa. Sembrano - i rassegnati - certi elefanti tristi dei documentari; e gli altri invece - i combattivi - paiono usciti dai film americani di quando si credeva alla speranza, quelli coi fondali di cartapesta, quelli di Frank Capra. Più in là, dove le vetrine scintillano e il nuovo gestore della libreria del corso è un incallito scorbutico, la cenere delle fabbriche si posa sui motorini in sosta, le scorie entrano nelle narici, l'odore di bruciato, di metallo fuso, è insopprimibile. Mi sta

La pace armata

  Ieri ero a Cortona, a registrare un programma per la radio sulla mostra di Luca Signorelli al museo diocesano, e a un certo punto mi sono perso. Volontariamente, dico: ho lasciato che i piedi andassero per conto loro, e gli occhi si posassero a volontà sui bazar ricavati negli antri di pietra, colla merce esposta fin per strada, in festosa tentazione di sperpero. Borse di cuoio, stampe della città, portachiavi con l'effige del cinghiale - che qui pare sia una bestiola portafortuna: - avrei comprato di tutto, senza pentirmene. Alle due passate, in trattoria, ho sfogliato il giornale saltando come in quella canzone di Concato le notizie che fanno male, e tutti gli articoli compiacenti con gli uomini di potere. Gli uomini di potere in posti così graziosi non dovrebbero farceli entrare, nemmeno sulla stampa: sono fuori contesto. Il proprietario del ristoro, un signore sui settanta, i capelli bianchi fermati all'indietro con la brillantina, porgendomi un piatto di verdure all'

I nomi

Tra qualche settimana copriranno i campi da tennis con il pallone, per giocarci d'inverno. Da qui a un mese la notte gelerà e mi toccherà parcheggiare sotto le piante, per evitare che il vetro si ghiacci. Se mi volto vedo l'estate che è già passata, con la paura della colonscopia, la costipatissima costiera amalfitana, le temperature feroci, le formiche nella dispensa, la riscoperta di Branduardi, il climatizzatore che funziona solo se per azionarlo mi arrampico su una scala, perché ho perso il telecomando. Appena ieri eravamo a una festa e oggi il prato è deserto, hanno accatastato i tavoli in un cortile, li hanno incatenati e han messo di guardia due cani giganteschi. L'eco dell'allegria, delle mani che battono, dei bicchieri che tintinnano, è ancora là, tenace, sospesa per aria, ma gli invitati no, sono andati via, han tolto gli abiti da cerimonia e han ripreso a lavorare. Tutto questo vortichio di tempo, questo passo dell'oca delle stagioni, mi fa vulnerabile e

Lo stupore

Non si guida con gli occhi chiusi ma io li ho chiusi solo per un momento, perché ho il parasole rotto e la luce sui campi e l'orizzonte era prodigiosa. Tra Tarquinia e Tuscania corrono venticinque chilometri di strada stretta e se li copri alle sei d'un pomeriggio di fine estate il mondo appare nitido come un film in HD, e tutta quella chiarezza acceca. I campi dalle gobbe brulle, le necropoli etrusche che si intuiscono pur dai finestrini, sono come intinti in un bagno d'oro, hanno lo stesso aspetto di tremila anni fa, quando il medesimo sole di oggi, a quest'ora e in questa stagione, già li colpiva di sbieco. Ho rallentato, la via era sgombra, così ho bruciato cento e più metri come fossi in quel romanzo di Saramago: cieco, e irresponsabile. Quando ho riaperto gli occhi tutta quella bellezza si era involgarita, era tornata una cosa ordinaria: temo si sia offesa della mia irriverenza. Ma io, al contrario, l'ho fatto per non saper cantare lo stupore, per non doverne

L'amore che preferisco

Quando scrivo d'amore qualche volta ho il sospetto di scrivere di una cosa che non conosco, e che quindi per me non esiste. Quando scrivo d'amore spesso sono equivocato. Quando scrivo d'amore certi amici ci leggono il loro concetto di amore, non il mio: me ne rammarico, è evidente che non sono riuscito a raccontarlo bene. L'amore vero è eterno , han scritto talora sotto i miei sproloqui, sotto le nostalgie, credendo che io ne abbia provato la vera natura e soprattutto che mi prema sia illimitato. Allora sarà il caso, per i miei quarantasette lettori, che provi a spiegarmi. Non ho mai pianto per amore nel senso comune per cui si piange per amore, né ho mai capito il significato di tutti gli stereotipi sull'amore. Li ho sempre trovati finti, costruiti, ho spesso pensato che incarnassero ciò che i sognatori di sogni inconcreti, i lettori di Nicholas Sparks, sperano l'amore sia, non ciò che è veramente. Dirò qui allora, a lettere di fuoco, che non vivo per infinita

Cirano

  Tra le memorie ostinate, misteriosa più di tutte è quella degli odori. Non ho idea di come funzioni, di quale chimica la scateni, ma so che è dolce e turbatrice. Vive nell'alchermes per la zuppa inglese, negli atri delle caserme, nelle cartolerie muffite, negli alberghi di Cattolica e nei mobili lucidati di trementina - in fondo agli empori dell'usato. È una relazione libera, quella fra i ricordi e il mio naso: si accoppiano quando pare a loro, spesso all'improvviso, e fanno la malinconia. La prima volta me ne persuasi in una bottega di fornaio: avevo finito le elementari, da un anno andavo alle medie. La panetteria stava in coda a via Marcellina, mi ci mandò mia madre a comprare un rinfresco. L'odore di quel posto - farina secca, ferro di teglie, biscotti all'anice, lievito di birra  - mi precipitò indietro, a una stagione recente, quando per andare a scuola passavo là davanti e talora sostavo, aspettando che arrivassero i miei amici, i ritardatari, per correre i

Le nuvole

  Succede mentre faccio la spesa, o l'amore, o mentre dormo. Succede mentre mi rado e poi pulisco il bagno dai peli e dalla schiuma, mentre passo lo straccio, mentre lavoro con la voce, mentre studio, mentre scrivo per diletto, mentre ingurgito otto buste di Isocolan in quattro litri d'acqua, maledicendo la vita. Succede mentre stiro a ferragosto, mentre scarico un disco di Branduardi, e succede perfino la notte, mentre insonne rivedo Caro Diario e l'ultimo episodio somiglia così tanto - così forte che sa di spavento - ai miei acciacchi recenti. Perché esistono due realtà, io credo: quella visibile e quella invisibile. Sono concentrato sulla prima e cerco di fare del mio meglio. Ammetto per esempio che il mestiere di padre è l'unico che mi impegni allo spasimo, l'unico che mi sfianchi, ma è una fatica che poi mi ricambia con soddisfazioni longeve. Del resto a volte preferirei dover gestire una centrale atomica invece di una figlia, ma è una tentazione che dura un at

La pulce d'acqua

C'è dunque questa prospettiva non trascurabile che si canti per il perdono. Che si manifesti un qualche estro, un'arte anche di seconda mano, perché qualcuno ci condoni le alzate d'ingegno, e tutte le eversioni. Mi piace assai l'idea che quel che mi fa scrivere sia il bisogno di una questua, l'elemosina di un'amnistia. Io scrivo cioè non solo per divertimento, per vanto, ma perché la scrittura è moneta di scambio: che idea fenomenale. Scrivo per tornare innocente e perché a dio - ecco chi è quel qualcuno , in qualsiasi forma lo immaginiate - piace la vitalità degli uomini, quella creatività che  li fa teneri e tracotanti. E allora scriviamo, e allora cantiamo, e alziamoci dal nostro posto e balliamo il tango, e allora viaggiamo con la fotocamera al collo per l'Andalusia, e facciamo l'amore a volontà - che pure lui è gran arte -  perché i sedentari, gli astinenti, ingrassano e credono solo alla televisione. Il canto per redimere i peccati è quanto di più

Se vivessimo per sempre

A dire che la vita è bella perché finisce, ti guardano male, ti danno dello svitato. Eppure è proprio quella zoppia la sua forza: è come se un difetto diventasse pregio. Ci ragionavo sportivamente stamattina, mentre salivo a Itieli a dar da bere alle piante di Rita e a sfamare i gatti che non sono di nessuno, e quindi si rimpinzano in tutte le case fingendo da paraculi di esser sempre a pancia vuota. Pensavo, nello specifico, alla settimana che viene, zeppa di impegni prima delle ferie: il fatto che mi ci dedichi con la necessaria concentrazione e facendo del mio meglio deriva proprio dalla costante memoria della morte, della fine di tutte le seccature. Non crediate che esageri. Provo a spiegarmi meglio, ragionando per assurdo. Certo che ho desiderato essere eterno, tra le stagioni dipinte a tenerezza. Più di qualche volta. Per esempio quando la sera era tiepida, il vento soffiava le onde dell'Egeo come dentro un aulos e una donna innamorata, bellissima, mi corteggiava. Quella vita

Il giorno che m'innamorai dei ricordi

Se mi fossi chiamato Numa o Galeazzo, se mi fossi chiamato Severino, magari avrei facilitato il compito a quelli che a scuola prendono per il culo gli eccentrici e i silenziosi - pregi che a otto anni avevo già - ma può darsi che avrei scansato questo destino da meditabondo - questa sorte da viandante delle solite strade - che mi veste come una giacca su misura. Mi sa che il nome che portiamo scolpisce un po' il carattere, e Francesco Franceschini non poteva che essere un uomo a cui le cose sognate, le vite vissute, tornano addosso, affezionate e violente. Leggete bene il mio nome: la ripetizione, l'eco, sono già in quel battesimo. Eccola allora, la memoria: faccio per cacciarla come un urlo ma quella rimbalza sulle pareti verticali dei palazzi, sulla cresta delle colline, e mi ricasca addosso, e a quel punto sto da capo a dodici. Quando successe la prima volta?  Non mi sento di giurarlo in tribunale ma poteva essere un autunno degli anni novanta, - camminando per la via rotta

Una pioggia di rane

Ho il sospetto che uno dei film più importanti degli  ultimi venticinque anni sia Magnolia , di Paul Thomas Anderson. L'ho rivisto nel fine settimana, complice il caldo furente che mi ha costretto in casa, e non lo ricordavo tanto definitivo. E nemmeno tanto isterico. Importante, definitivo e isterico: mi piace battezzarlo così, sono caratteri che gli calzano a pennello. Provo a spiegare perché. Parliamo di un film con alcuni difetti - per esempio dura più di tre ore e certi passaggi son allungati come gomma americana - ma anche con vari indiscutibili pregi che non avevo colto del tutto la prima e unica volta che lo vidi, nel 1999. Direi che è un film che parla soprattutto di due ostinazioni, dannatamente attuali: quella del caso, ingestibile per antonomasia, e quella del vizio, che è tutta umana, e dunque tutta una scelta. Andiamo con ordine. Quel film è importante - prima definizione - perché mescola con molta abilità quelle due ostinazioni, le frulla insieme, tanto che non sempr