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Visualizzazione dei post da 2020

Vorrei

  Passo davanti alle vetrine dei negozi chiusi, è la vigilia di Natale, sono le dieci del mattino e per la strada non c'è nessuno. Le commesse hanno vestito a festa i manichini, con maglie rosse e sciarpe sgargianti, ma la festa non c'è. I saldi non sono ancora incominciati, la paura del contagio non è ancora finita, i locali sono bui tranne che per certe piccole lampade rotonde che gettano una luce giallastra sul pavimento, come un disco volante che stia per atterrare. Mi fermo a guardare, anche se non c'è niente da guardare e non posso comprare la giacca nuova che avevo in mente. Immagino la vita degli oggetti, là dentro, il parlottio tra le ciabatte e le moffole, ognuna pensa di essere più utile dell'altra perché i piedi si freddano più delle mani, e con le mani però si lavora, e dunque han più bisogno di tepore, e finiscono per bisticciare. Vorrebbero sgranchirsi le gambe, i pantaloni di velluto, ma poi perderebbero la riga e da soli non son capaci a rifarla. E le c

Tre canzoni

Nonostante io ascolti esclusivamente musica d'autore italiana - cosa per la quale certi amici spiritosi mi danno del fanatico - per paradosso trovo che le tre melodie più belle che siano mai state scritte - almeno a livello popolare - siano straniere. Sono canzoni che mi hanno addolcito il tempo in stagioni diverse della vita, costruite secondo sequenze armoniche di perfetta letizia, segno che chi le ha composte sapeva cosa stava facendo, e come si scrive la tenerezza. Mi fanno sovente da colonna sonora, in questa epoca matta di coprifuochi e allarmi, e rallentano la paura, combattono i presagi cattivi, m'accendono la voce e mi incoraggiano a cantare, in barba a chi ride a sentirmi. Ve le racconto, perché le ho un po' studiate, ne ho indagato la genesi, e così facendo me ne sono innamorato ancora di più. Allora, in ordine casuale. La prima di queste meraviglie è Hey Jude , dei Beatles. Ha un finale lunghissimo, sembra il coro di una festa, è stata scritta nel 1968, avevo un

Gesù bambino e Gramsci

  Secoli fa, all'alba degli anni Ottanta, il padre di un mio amico faceva il presepio in modo affatto originale. Si definiva comunista, e lo era, a osservarlo con attenzione: rigoroso e sobrio, spesso indignato per le porcherie del mondo, viveva solidale prima che diventasse un atteggiamento di cui vantarsi. Sotto al muschio metteva pagine dell'Unità e di Paese Sera, Per non sporcare il piano, diceva, ma in realtà lo sentimmo confessare a un vicino di casa che sperava che a quel modo Gesù bambino assorbisse un po' di sano egualitarismo. La moglie sbottava, a sentirlo parlare così: Ma come? Vuoi insegnare a dio il suo mestiere? e lui si inorgogliva, cacciava un urlo comico e con la voce baritonale giurava che sì, che tocca agli uomini indicare la strada ai santi, di tanto in tanto. Dentro la mangiatoia ficcava un piccolo monile a forma di stella con incisi la falce e il martello, staccato da una medaglietta che portava al collo. Era grosso quanto un bottone e a molti - paren

Strani incontri

(© Luciano Galassi) La prima cosa che il freddo si prende è il mio naso. Poi i piedi, e poi le mani. Alle quattro di pomeriggio, dopo il corso di comunicazione e la pennichella, il sole sta di sbieco e il bosco è troppo fitto perché filtri calore. Vado incontro ai ricordi, tanto per cambiare, e il percorso è un anello, si parte e si arriva nello stesso punto, come la vita, che cominci e finisci incosciente. In mezzo tutte le veglie che ti spaccano, le insonnie, gli spaventi e le persone che vanno via senza che tu possa far niente per trattenerle. Questo camminamento che hanno ritagliato attorno al colle di Itieli come il tonsore faceva coi capelli dei frati ha una sua grazia cupa, e di notte puoi incontrarci volpi e cinghiali: lo chiamano il Censo. Ma anziché i ricordi a un tratto mi vengono incontro due gendarmi, come quelli di Pinocchio, o come quelli che scortano Bocca di Rosa sul treno. Hanno i pennacchi sul cappello e sono scuri in volto. Ci sono solo io, ce l'hanno con me, n

Papà

C'è un'epoca d'oro in ogni famiglia e poi comincia la discesa, la decadenza, tutta quella vecchiaia esplosa con cui improvvisamente dobbiamo fare i conti: nei corpi, nel mercante in fiera ingiallito, nel camino spento. Quello è il tempo del dolore annunciato. Papà prima di morire mi ha chiesto aiuto, dopo che per cinquant'anni lo avevo chiesto io a lui, senza darlo a vedere, tentando di non farglielo capire. Abbiamo giocato spesso sul filo dell'equilibrio tra detto e non detto, e sotto la rete non c'era. Per questo - per non precipitare - i silenzi si son mangiati le parole, perché camminare sulla corda fosse meno pericoloso. Quando la morfina spegneva per un'ora il dolore, dormiva un sonno superficiale, e talora mi è capitato di vederlo sorridere. Al risveglio, intorpidito, non del tutto in sé, pronunciava nomi di morti che a sentir lui erano andati a trovarlo - Gastone, Gino, Alessandra - e si meravigliava che non li vedessi anch'io. Magari dio rilasci

Ridere

Una volta un amico mi insegnò la morte. Mi mostrò cos'è, al di là di ogni ragionevole dubbio. Solo che io ero distratto dalle ragazze, e giovane, e non gli diedi ascolto: pensavo scherzasse, o esagerasse. Mi disse che stava per morire e che non gliene importava. Eravamo sulla gradinata di uno stadio, proprio come Billy Crystal e Bruno Kirby in Harry ti presento Sally . Al quarantesimo del primo tempo, mentre tiravano un corner, mi guardò e disse Ho un linfoma, mi resta poco da campare . E però lo ammise con una tale noncuranza, con una tale allegria, che appunto credetti mi stesse prendendo per i fondelli. Giorni dopo, in pizzeria con altra gente, tornai sull'argomento, gli chiesi come gli fosse venuto in mente di giocarmi uno scherzo del genere. E chi scherza? - rispose: È tutto vero . Insomma gli avevano diagnosticato quella schifezza in seguito a certi dolori al petto, tanto che se ne andò nel sonno, neanche un mese dopo. In quelle settimane lo trovai affaticato, pallido

Eredità

È faticoso costruirsi una poetica. E non parlo del mio piccolo estro artigianale di mettere in fila parole come vagoncini di un treno. No. Parlo della poetica che ognuno di noi ha dentro di sé, in eredità. La poetica già: permettete che la definisca così? Magari voi la chiamate indole, carattere, e ho sentito qualcheduno, qualche volta, in qualche parte del mondo, che la battezzava fortuna. Qualunque nome le vogliate dare è sempre lei, è quello che siamo, l'impronta della nostra vita. Il fatto che dobbiamo costruircela da soli e che sia già in noi alla nascita è solo apparentemente un paradosso. Ce l'abbiamo ma è tutta smontata, frammentata, come le tessere di un puzzle. Con pazienza, giorno per giorno, ci tocca far apparire la figura, darle un senso compiuto. Per esempio: il pessimismo che ogni tanto prende il sopravvento davanti a progetti complicati è una di queste tessere, la più scura. Chi me l'avrà trasmessa per via genetica? Quella zia di Monterotondo che girava semp

Le occasioni

La settimana scorsa ho comprato una stufa elettrica su Amazon e ieri me l'hanno portata a casa. Il corriere era una ragazza e aveva un'aria familiare. Quando mi ha detto Non c'è bisogno che firmi, prof: posso farlo io per lei l'ho riconosciuta: era una mia ex allieva. A distanza di sicurezza, le mascherine correttamente indossate, ci siamo fermati a parlare un po'. Prima le informazioni superficiali - la pioggia, il freddo arrivato in anticipo, la necessità delle gomme termiche per le strade di montagna - e poi lei ha preso a ricordare le mie lezioni, e che eravamo proprio giovani: lei una ragazzina, io un professore entusiasta, di primo pelo. Sarà stato vent'anni fa - ho osservato, e lei E chi se lo scorda? Non tanto per le poesie e i romanzi, che mi sono sembrati sempre indigesti, ma per una cosa che una volta le sentii dire, e che con fatica ho messo in pratica . A quel punto mi sono piazzato, tutto orecchi, sull'ultima scala della rampa condominiale.

Il doppio

Stanotte mi sono svegliato alle tre, brutalmente, come se braccia robuste mi avessero scrollato, come fossi su una branda in caserma e un sergente carogna fosse venuto a cercarmi per il contrappello. Era saltata la corrente e ho avuto paura: nel buio talora mi sento soffocare. Ho cercato d'istinto gli occhiali sopra la sedia che uso da comodino: sto traslocando e un pò di cose le ho portate via. Poi dall'altra parte, sul termosifone, il cellulare. Ho acceso la torcia del telefono e col naso sotto le coperte ho guardato attorno. La poltrona coi vestiti, l'armadio bianco, i vetri con le ditate, la scrivania troppo grande per quella stanza: sembrava tutto in ordine. Tutto dormiva, eccetto me. Dietro la porta d'ingresso c'è il contatore della luce: nonostante la notte fosse quieta e senza temporali era saltato. L'ho fatto ripartire e finalmente li ho visti. Sul tavolo stava un ragazzo intento a studiare, tutto storto, di certo infreddolito, con un libro di grammatic

Il varco

Quando non ne posso più, esco di casa e passo il varco. Non devo fare molta strada, sta appena fuori dell'uscio, un centinaio di metri, piegando a destra oltre i cassonetti della differenziata. Lì il sentiero s'impertica gibboso sotto una volta di rami legati come abbracci di amanti e si perde nel bosco. E mi perdo anch'io, e quel perdermi mi rimette al mondo. A volte, ad aspettarmi con una giberna a tracolla, mi piacerebbe che ci fosse Eugenio: è lui che mi ha mostrato il varco. Lo ha scritto dentro alle sue poesie, e giurava che a passarlo ci si ritrova, ed è come rinascere. Altre volte non cerco nessuno, non voglio nessuno tra i piedi, solo il ruscello che scava la roccia, la famiglia di cinghiali che attraversa il sentiero e le combriccole di uccelli canterini sopra la testa. Con le scarpe da trekking delle bancarelle salgo e svolto a ogni cantone  - lì han costruito un pollaio abusivo, lassù han tagliato un albero, ne è rimasto un sedile coi cerchi dell'età - e mi

Io ti darò*

Io spero tu non creda e tu speri che io creda: che belli che siamo, potremmo fare coppia fissa al vaudeville. Tu speri che io creda in te e i sogni che mi mandi, gli acufeni, le voci che mi chiamano nelle stanze vuote, sono razzi di segnalazione, come se mi dicessi Ehi, sciocco ragazzo, sono qui , vieni a verificare . Io spero invece tu non creda che ti restituirò la mia vita esattamente com'era quando me l'hai consegnata: una pagina bianca, un libro senza storia. Non funziona come nei negozi dove noleggi i vestiti di carnevale: gli strappi sul mantello di Balanzone, le macchie di caffè sul corpetto di Colombina, in quegli empori te li mettono in conto. Tu non provare a mettermi in conto, invece, tutto quello che troverai dentro la mia esistenza, che ora è piena ed era vuota. Non pensarci nemmeno. Tutta la farcitura, tutto l'armamentario delle arditezze, non sono opera tua. La mia vita te la puoi riprendere quando vuoi, non ti serve il mio permesso. Ma tieni presente che è

Vento d'autunno

Le stagioni muoiono e rinascono e quando rinascono lo fanno sempre con un difetto, una mancanza. O al contrario con una zavorra in più, un peso imprevisto, un'innocenza macchiata. Così che la sovrapponibilità del tempo è solo un'apparenza, tutto è differente, solo i nomi dei giorni restano gli stessi: i nomi e il nostro modo di contarli. Mi pare allora che esista un conflitto tra quella che è l'impressione che abbiamo, delle cose, e le cose in quanto tali - per dirla con un linguaggio vagamente filosofico. Come si corregge questo difetto? Mi ci scervello da qualche anno, da che ho intrapreso questa faticosa carriera di piccolo narratore di piccole storie, e anche sulla stregua di quel che è successo di recente nel campo da gioco della mia vita credo di esser giunto a una conclusione: ignorandolo. Chi se ne importa se la realtà e la percezione che ne ricaviamo non combaciano: non me ne faccio una malattia. Quel che intuisco è in ogni caso una forma di realtà, la mia realtà,

La sfida

Non ho mai letto una poesia più bella della bellezza di un uomo. E nemmeno quegli scrittori solenni, che hanno sfiorato l'infinito, che mi hanno accartocciato l'anima come si fa col giornale di ieri, hanno mai scritto cose più belle della vita vera, quella fuori dei libri. Me ne sono convinto oggi, mentre Narni si preparava per la notte e sopra il teatro comunale passava una nuvola rosa, tinta dell'ultima luce. Me ne sono convinto dopo averlo sospettato per anni, dopo essermi ingannato a cercare nei romanzi il senso delle cose quando il senso delle cose è per strada. Le facce, le posture, le macchine che salgono la groppa sotto l'arco del duomo, le lanterne che cigolano inchiodate alle insegne dei ristoranti, gli studenti di criminologia che escono dalla lezione serale, Elio Germano che prende il caffé prima dello spettacolo di domani, e di buon grado si fa un selfie con chi glielo chiede: eccola, la realtà. E dietro di lei ecco l'arte, che la imita, la insegue, la

Cantare il dolore

Una sera di due anni fa, sulla spiaggia di Cattolica, un ambulante peruviano volle vendermi a tutti i costi una terracotta raffigurante Xilacutli, una divinità minore degli Incas. La fattura è moderna - disse -  ma il simbolo che questa figura di donna rappresenta è universal e. Io non l'avevo mai sentita nominare ed ebbi il sospetto che se la fosse inventata lì per lì. Tuttavia il ragazzo aveva modi garbati, e poi uno che è tanto lontano da casa va sempre rispettato e ascoltato. Così per dieci euro comprai la statuetta e lui mi raccontò la storia. Pare che Xilacutli fosse una giovane vedova e che a un certo punto il suo unico figlio si fosse ammalato gravemente. Lei tentò di farlo curare ma non aveva denaro e il medico del villaggio le rifiutò il suo aiuto. L'ansia di Xilacutli divenne disperazione, stavano lei e il bambino nella casa spoglia, sdraiati su un letto di foglie di mais. Finché un giorno alla sua porta si presentò un arciere ben vestito, con monili d'oro al co

Curiosità

Da vent'anni tutti i giorni che dio manda in terra copro lo stesso tragitto per andare in radio. In realtà solo l'ultimo tratto è uguale perché son partito spesso da posti differenti, tant'è che se mi chiedessero che faccio di mestiere direi: il traslocatore. Parcheggio dove trovo, ma se posso scegliere la strada è via Lungonera quella che preferisco. C'è un negozio di elettrodomestici che in vetrina ha sempre degli aggeggi eccentrici: un frigorifero rosa, un tostapane azzurro che sembra un'astronave, una lavatrice con l'oblò gigantesco, ispirato - chissà - al Nautilus del capitano Nemo. Da lì mi incammino per una salitella che a un certo punto si stringe e se arriva una macchina devo spalmarmi al muro, sfiorando la porta di una sartoria artigianale dove una volta comprai a peso d'oro una camicia, la più bella che ho mai indossato. Appresso c'è un kebab che già di prima mattina diffonde per la strada musica araba e odore di carne sfrigolante. Se putacaso

Flok!

Quando io avevo nove anni l'America non era ancora una nazione. I coloni combattevano contro gli inglesi, assaltavano i brigantini di sua maestà, tendevano imboscate nella foresta. Nella stanza di passaggio che fu camera mia per qualche tempo i colpi di cannone scuotevano le pareti, i fucili Pennsylvania - trappole dal colpo singolo - facevano Pam! e dopo ci voleva un sacco di tempo per ricaricarli, e dalla tua sveltezza passava la differenza tra la vita e la morte. Sulle rive del lago Ontario un ragazzo col cappello di pelliccia aveva arruolato un manipolo di contadini e bottegai formando l'esercito dei lupi. I lupi dell'Ontario, per l'appunto. Le loro avventure le portava a casa una volta al mese Gastone. Lavorava a Roma, alle Assicurazioni Generali. Come usciva dall'ufficio, in attesa del treno gironzolava per la stazione Termini e gli occhi gli cadevano sulle copertine a colori delle edicole. Il Comandante Mark - il ragazzo dal cappello di pelo - un giorno lo i

L'entusiasmo

Se tutto va secondo i piani, nel weekend riempio una sacca di film e comincio il trasloco d'inverno. Porto cioé una buona scorta di dvd nelle dolci grinfie della casa in campagna e lì, da novembre in poi, accendo le luci del mio cinema personale. Mi siederò in sala di tanto in tanto, saltando una settimana o due se i contrattempi saranno più urgenti del piacere e il lavoro sarà fitto e esaltante, come spero, e le rimpatriate coi vecchi amici meno rade di ora. Il sabato sera, per una ventina di sabati cupi e brumosi, non ci sarò per nessuno, eccezion fatta per i protagonisti di pellicole vecchie e sgranate. Le ho comprate durante l'estate, alcune. Nelle ceste dei supermercati trovo capolavori che costano meno del salmone e sono assai più saporiti. E senza additivi. Una poltrona reclinabile, un sacchetto di patatine al lime e pepe rosa e un goccio di vodka alle prugne è tutto quel che mi occorre. Alla fine della proiezione mi infilo a letto e mi godo la notte lamentosa, che soffi

La palestra cattolica

Incontro un'amica di vecchia data e la trovo in gran forma. Ha preso graziosamente quei chili che le mancavano, è ringiovanita, allegra (e me la ricordavo un po' musona) e parla con un tono di voce più soddisfatto. Io non ho mai messo piede in palestra, ma mi viene da chiederle se lei invece la frequenta, visto il fisico che si ritrova. Per tutta risposta mi fa Se hai tempo ti racconto una storia , e io a un invito del genere non so resistere. Sposto mentalmente in avanti i miei impegni, come si fa con l'orologio quando arriva l'ora legale, troviamo un caffè all'aperto e una volta al tavolo le dico Sono tutto orecchi . Per cominciare mi confessa che ha perso il lavoro: già era precario e la pandemia ha dato il colpo di grazia. Poi che è in rotta con suo marito, dopo vent'anni di matrimonio. La spesa la fa dove costa meno: A scapito della qualità di quel che mangio , ammette. Tuttavia ti trovo alla grande , riesco a dire, e lei, fieramente, Ho avuto giorni peggio

Destinazione e destino

Il Dakota Building a New York è un austero palazzo dalla fama sinistra. Nel 1967 Roman Polansky ci girò Rosemary's baby , film che forse scatenò due anni dopo il massacro di Cielo Drive. E nel 1980 sulla sua soglia ammazzarono a colpi di rivoltella John Lennon. Ma pare che questi siano solo i due eventi più famosi e che altri fatti inquietanti e non del tutto spiegabili razionalmente si siano verificati nelle sue stanze. Ora, che ci crediate o no a queste stranezze poco importa. Quel che volevo raccontarvi è che io il palazzo me lo sono sognato. Poco fa, durante il pisolino pomeridiano. C'era dio, nella hall, che mi accoglieva come fossi un nuovo affittuario. Come so che era lui? Sul cartellino attaccato alla giubba c'era scritto God. Questo perché desidero mettere subito le cose in chiaro - ha spiegato. Avevo con me solo un piccolo trolley, una piantina di Central Park e un fantastico stordimento da jet lag. Lei sa che una volta arrivato qui deve fare una scelta - mi dis

Il tempo del chissà

La casa che tanti conoscono pur senza esserci mai entrati ha fama di casa abitata anche quando non c'è nessuno. Ci si arriva lavorando di servosterzo, scalando sui tornanti, tirando la seconda finché il motore non guaisce e la salita spiana davanti a un campo, un tratto di bosco rotondo come un anello e una cancellata. Lì c'è Itieli, lì c'è il buen retiro che io racconto da anni ai generosi: coloro che di leggermi non sono ancora stufi. Immagino che ve la figuriate, dopo tutte le sciocchezze che ho scritto, e non è escluso che uno di questi giorni apra le sue porte e ci organizzi una maxi festa. Nel frattempo ci salgo da solo, verso sera, a contare le stelle dalla radura e a rifornire la dispensa. Barattolame, olio extravergine, spaghetti, marmellate, frutta secca, biscotti e caffè: ho quanto basta per affrontare un'improvvisa nevicata, o la tentazione del non ritorno, che mi confinerebbe qui per il tempo del chissà. Apro i battenti sulla notte, che in collina arriva pr

Il buio

Se la realtà è quello che sembra, tutto ciò che ho posato nelle case nelle case resta. Oggi per esempio son salito in collina a portare i Gialli Mondadori e voglio sperare che stanotte se ne stiano buoni e in ordine nella libreriuccia che ho preso apposta per loro e non che - appena taglio la corda - svaniscano, o si mettano a ballare il tango, per poi ricomporsi dritti e impassibili - come io li ho messi - il giorno che mi rifaccio vivo. Questa cosa degli oggetti che cambiano aspetto o posto se io dormo me li accomuna tuttavia alle persone, li rende vivi e rende me felice: in tutta onestà la vita mi piace di più quando ho il sospetto che quel che vedo non sia tutto quello che c'è. Accanto ai Gialli Mondadori - dato che c'era spazio - ho sistemato un'altra collana che gioca proprio col mistero. Comprai il primo numero nel 2010, e presi a leggerlo in macchina, mentre aspettavo Susanna che usciva di scuola. C'era Roma, c'era un cacciatore di fantasmi dal destino nel n

Il contrario

Tra gli indiani Sioux delle pianure americane c'era una specie di sciamano, chiamato Heyoka, che tutti consideravano sacro. Aveva una funzione fondamentale: quella di fare sempre il contrario di ciò che facevano gli altri. Cavalcava al contrario, camminava al contrario, sedeva dando le spalle alla tribù. E parlava anche, al contrario. Se diceva di esser felice, era scontento. Se diceva di avere fame, era sazio. Se diceva che il tempo era bello, pioveva a dirotto. Era insomma il controcanto anticonformista della società. Con la sua presenza ricordava a tutti quanto fosse necessario, di ogni affermazione, tener presente il suo opposto, un fatto di relativismo culturale, di punti di vista. Quel che è una fortuna per qualcuno è un danno per qualcun altro. In quel modo estremo rappresentava le diverse facce della verità, e suggeriva che a volte son tutte attendibili, anche se apparentemente in conflitto. In questi soffocanti giorni d'agosto sto rileggendo, al fresco degli albe