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Visualizzazione dei post da 2019

Ora e qui

Io e questa erba siamo nati insieme, io e queste pietre impilate a forma di casa siamo nati insieme, io e certe mutazioni, io e certe canzoni, abbiamo spartito la stessa epoca. E i viaggi che ho fatto li ho fatti in posti intonati alla mia anima - quasi tutti - e ovunque mi sono incantato a guardare la bellezza, perché la bellezza e io abitavamo la medesima stagione, cosa che sa di miracolo. Non vorrei essere nato in un altro tempo, neanche potendolo scegliere; al massimo ci vorrei fare un salto ogni tanto, per un caffè con Italo Svevo, un viaggio in diligenza da Sacramento a Salt Lake city, una notte a Alessandretta assediata dagli arabi. Poi il rientro, in questi panni e in questi guai: tanto mi piacciono le smanie che mi procura la modernità che non potrei farne a meno. Eccomi - mi vedete? - perfettamente incasellato nel mio destino, nei miei anni, nella mia città, a respirare vento e ammoniaca eppure grato al caos perché ne posso parlare, all'ingiustizia perché se scrivo pos

Così a volte io mi sogno

Sarei tentato di dirmi felice, a stare un giorno intero dentro un chiosco da giostrai. Uno di quei bussolotti che montano davanti agli autoscontro, chiuso dal di dentro, a far pagare i biglietti alla gente che pur in fila al freddo è allegra, perché porta i figli a divertirsi. Mi accorgerei felice perché starei al riparo dal mondo epperò allo stesso tempo sua parte, cisti benigna che ha scoperto come non far del male a nessuno e non riceverne. Fuori il tempo si muove, gli amanti passano svelti coi baveri alzati, le vedove incappottano i cani e gli danno nomi umani, tanto che chi ha lo stesso battesimo si volta, pensando che lo stanno a chiamare. Certi motori tagliano incuranti per la ztl, il mio amico Jalenti vende i dischi di Bublè, li confeziona nei pacchetti rossi, ha un consiglio saggio per tutti quelli che non sanno che regalare ai figli, a parte la giostra. Non lo meriterebbero, quel consiglio: chi non sa cosa regalare ai figli non dovrebbe farne. Di tanto in tanto passa un mi

E poi?

Un altro libro, un'altra felicità, un viaggio a Inverary, una cena con delitto, una notte in alta quota dentro un albergo impiccato, un regalo da fare a Pietro ogni nuovo 21 febbraio, il fine settimana a Itieli numero trecento. Traguardi. Che hanno il pregio di essere miei, nel senso che sono pensati su misura per i gusti che ho, e le ambizioni. A volte li mischio insieme e sembrano un frappè, comincio una cosa e ne lascio via un'altra, e in bocca mi arriva il corpo tagliuzzato di una fragola, un sapore di cannella, una scaglia di rosmarino. È un sistema per sentirsi vivi, questa roba qua, e una manifestazione di ottimismo: gettare le fondamenta di una casa essendo ragionevolmente convinti di veder montare il tetto. E questo è il mio record del mondo, quanto a senso della vita: una miriade di piccole bellezze luminose, come le stelle notturne d'agosto. Finché non arriva qualcuno a sparigliare le carte - un'amica, un'ospite in radio, la negoziante di

La virtù del fumo

C'è una ricorrente circostanza che mi far venire voglia di fumare: il tramonto di un giorno in cui tutto è andato - miracolosamente - per il verso giusto. E dal momento che saranno cinque o sei in un anno le occasioni in cui il mondo gira a meraviglia, fumo di rado e un pacchetto di cigarillos mi dura una stagione, e ce n'è d'avanzo. Oggi è una di quelle, però: nientemeno, anche se non c'ho voglia di raccontare perché, e allora vamos. La prima tappa è la tabaccheria, per forza di cose. Che sia antica però, e abbia le pipe di radica poggiate su un bancale un po' altero, lontano dalle Marlboro, parentame plebeo. E che odori di caramella balsamica e trinciato sfuso, e che i legni dei mobili ne siano impregnati a volontà. Eccomi, sono arrivato, ce n'è rimasto solo uno di spacci così nei dintorni. Chiedo al tabaccaio - un signore coi baffi rossi e il gilet a rombi, che somiglia a Richard Dreyfuss - la marca meno pestilenziale e lui mi dà dei Mini Mehari's al

Cinque su mille e quattro

C'è un lavatoio, tra Vasciano e il cucuzzolo di Itieli,  - definito audacemente fontanile sui cartelli stradali - al quale son salito ieri, di primo pomeriggio, a cercare pace e silenzio: hai visto mai fossero piovuti giù dallo speco francescano, che sta a picco proprio là sopra. Tirava una tramontana gelida da altri colli, ostinata a intrufolarsi tra le gole e a legare la gente contadina dentro alle case, a capare l'uvetta per il torcolo. A un certo punto ho alzato gli occhi sopra il dorso di una mucca e l'ho visto: il cielo in fiamme. Stava sospeso sopra la valle industriale, trattenendosi solo per i miei occhi, neanche fossi James Bond. Aspettava che lo guardassi, giuro, stava lì a fremere perché moriva dalla voglia di tramontare ma non prima che me ne fossi accorto, di quanto era magnifico. L'ho contemplato cinque minuti e alla fine è andato via, tutto contento. E a quel punto mi ha preso l'allegria - e mi prende di rado, credetemi, e perciò quando succede

Capire il mondo

Proprio come un tempo strappavo le bustine delle figurine - e lo farei ancora, se non me ne vergognassi - e ne sortiva fuori lo scudetto di raso della Triestina che riempiva l'album, così oggi ho strappato il faldone che conserva i martedì, ho pescato il signor Ieri - 26 novembre  2019 - e mi sono accorto che era luminoso. Succede quando tutte le cose che devo fare si incastrano alla perfezione nel loro spazio, e quando gli imprevisti anziché appesantirmi - come una pizza crudiccia - mi alleggeriscono stomaco e cervello. Ma andiamo con ordine. La prima cosa che avevo in animo di fare, stamattina, era una puntata del mio programma radiofonico dedicata a Tony Shalhoub. Probabilmente il nome non vi dirà granché: è l'attore che fa Detective Monk , un tipo dalla faccia simpatica, che ha girato anche film importanti, tipo Final Portrait (su Alberto Giacometti) o roba più d'azione come Attacco al potere . Sempre in ruoli minori, beninteso, ed è un peccato: è di una bravura s

Dall'altra parte

Una mattina le scale sono diciotto, la mattina dopo ventidue, la terza volta venti e la quarta di nuovo diciotto. Le stesse due rampe che salgo da una vita per andare in radio talora confondono la mia difettevole capacità di far di conto, tanto che per venirci a patti dovrei scenderle di nuovo e segnarle con la vernice rossa da uno a quante sono, ma verrebbe un altro numero ancora, c'è il caso, e allora lascio correre. Mi succede quando sono agitato, o ho dormito poco; e mi è capitato stamane che avevo dormito profondo - giuro, come va giù nella carne un bisturi - ma sognando che ero morto, e che arrivava dio e mi diceva Le cose stanno così: se non hai mai visto l'Australia e vuoi andarci, nessun problema; se vuoi salire i gradini di Teotihuacán fatti coraggio e prendi un bel respiro; se scegli l'Islanda e vuoi decollare - a sederti su un geyser che scoreggia - accomodati. O magari preferisci riassaggiare quel bacio che desti sotto la luna di Corinto, rivedere quella r

La barriera invisibile

Nello spazio tra pioggia e non pioggia, a Narni, ieri che son salito a raccontare la mia vita recente a chi ne conosce solo due giorni su venti e sta sulle spine se ogni tanto non lo metto a parte, mi ha preso un desiderio: sbrogliare una volta per tutte il mistero delle cose belle che non mi piacciono. La tempesta smetteva in quel momento, e però le nubi erano panni strizzati dalla fantesca di dio sulle nostre teste: cadevano - rade, facendo ploc sulle giacche e le corti illucchettate - gocce grosse come chicchi d'uva. Ho aggiornato a Pietro il resoconto delle mie scapicollaggini, gli ho regolato la sintonia della radio - perché sennò quando gli va non può sentirmi - e leggero di gesti non più taciuti ho arrampicato via del Campanile, e ho svicolato davanti sant'Alò, dove da ragazzini prendevamo il catechismo e dai giornaletti - in attesa del prete - le foto della Fenech, e poi le attaccavamo sull'anta del confessionale. Così: per sfregio innocente. A teatro c'era

L'epica del narratore

Metti il dito sopra la capocchia del prospero, e poi sfregala sulla striscia ruvida. C'è il fosforo, piglia fuoco subito, se non c'hai paura di scottarti. Se c'hai paura invece, è quando che ti bruci. Devi fa' una sveltezza. Ecco, Gino le impartiva così, le lezioni di accensione dei fiammiferi. Che di questi tempi, sotto Natale, erano assidue, perché Natale è il fuoco , diceva, è il fuoco più di qualunque altra fantasia . Ora io che ne so quando gli era salita la prescia di credere che il tempo che lui chiamava sotto Natale cominciasse già alla fine di ottobre - presumo negli inverni di guerra, per via che solo dentro le feste si mangiava decentemente. E che ne so pure della mania per le fiamme, dacché non ho mai inteso di casi di piromania in famiglia. Sospetto che gli piacesse sopra ogni altra cosa badare all'arrosto infilato nel ferro, e prima procurare la legna, e riporla in una vasca di cemento ricavata in un andito di casa, al riparo dall'umidità. E g

L'opera necessaria

Ho conosciuto Mario Castelnuovo nel 1981 ma ci ho parlato per la prima volta solo tre giorni fa, al telefono. Nel mezzo, 38 anni in cui ho vissuto sapendo che da qualche parte c'era, e scriveva cose strane e attraenti, e differenti , e che lui non sapeva nulla di me, com'è naturale. Un artista riesce raramente a dare un volto alle persone che lo seguono, e se pur capita è per il tempo di un autografo, per le due ore di un concerto, e poche altre circostanze. Perciò ho vissuto conoscendo di lui alcune cose private non proprio trascurabili - quelle che ho intuito nelle sue canzoni, dai romanzi, dai libri che han raccontato la sua poetica - e lui nulla di me, il che genera uno squilibrio tra le parti. Che è a sua volta una delle controindicazioni della notorietà: svelarsi così intimamente a degli sconosciuti. Questo fanno i narratori, però, e sanno che non c'è alternativa: o quello o il silenzio. E dunque, davvero, ho attraversato le stagioni tenendo a mente le sue canzoni,

Complici

Ah, se avessero un corpo, le parole, e se ogni volta che le pronunciamo ci cadessero di bocca, e finissero ai nostri piedi, e potessimo raccoglierle, portarle alla pesa pubblica e sapere quanti chili fanno, e poi mostrarle a un esperto - come i funghi raccogliticci, - che scarterebbe quelle velenose: allora sì che sarebbe un altro vivere. Invece, di tutto quel che non ci grava in tasca ci liberiamo a cuor leggero, al contrario delle monete, che non regaliamo ai mendicanti neanche per sbaglio. Per come la vedo io - ma spesso la vedo in modo eccentrico - le parole valgono infinitamente più delle monete. Quel balbettio che è la mia scrittura monca, articolato con indescrivibile fatica, vale ai miei occhi più delle operazioni di borsa che il mio broker mi vorrebbe far fare, e dalle quali per diffidente incompetenza mi tengo alla larga. Eppure è vero: sembra che talora non abbiano consistenza, sembrano fatte di vapore. Ce ne arrivano a tiro centinaia che è bello trattenere e milioni a cui

Glicemia

Stamattina pensavo, mentre ho lavato i capelli alla fontana dell'orto, perché il boiler sta lì e l'acqua calda arriva prima: sarebbe enorme se vincessi due milioni di euro alla lotteria, o li trovassi per terra e appartenessero a un trafficante di armi - così che impadronirmene sarebbe giustizia. Cento chilometri dopo, a Tarquinia, per la semestrale capatina etrusca, col sedere in proma sulla terrazza di Cardarelli, mi è perfino venuto d'immaginare come comincerei a spenderlo, quel monte di quattrini. Prima di raccontarlo, però, vi devo svelare cos'è la città d'ottobre, sennò la pazzia è incomprensibile. Allora: lassù, sull'acropoli, è preda di quello scirocco che leviga la Tuscia in autunno, tanto che - se vi affacciate dal balcone che dico - i campi hanno la zazzera perfetta, come un soldato appena uscito da una barbieria. Assieme alle idee bislacche, all'una quel vento portava odori di donne leggiadre, affamate, e già sulla porta dei ristoranti, a far

Felicità cercata

Non ho mai mangiato né dormito al Gattapone, albergo di Spoleto che affaccia sul ponte delle Torri. Benché abiti a un pugno di chilometri, e benché frequenti Spoleto tre o quattro volte l'anno - per il festival e per altre trattorie, - un soggiorno là dentro l'ho sempre rimandato. Chi ci è entrata di continuo è la mia fantasia, invece. Lo immagino come una stazione di posta prima di una terra selvaggia, una casamatta a difesa di un valico, o il posto adatto a una investigazione di Poirot, coi salottini che ho visto solo in foto, le scale a chiocciola, gli affacci sul baratro. Mi preme all'anima il desiderio di andarci, preferibilmente al crepuscolo, per intonare al contesto la malinconia che sempre mi porto dietro. Quanto ad arrivarci, è bene arrivarci a piedi. Parcheggiare fuori porta, lungo le mura che sul versante meridionale delimitano il parco, e arrampicarsi. Solo così si guarda Spoleto tutta intera: salendo per la mulattiera. Perché a quel modo vai piano e hai t

La valigia albanese

Quando hai una casa antica certe stanze sono più polverose e abitate di altre. Quelle che danno sul passato, dico, con muri larghi un metro, i bauli dell'isola del tesoro, botole che portano al piano di sotto, al vecchio mobilificio Franceschini, e gli scartafacci dove teneva i conti la mia famiglia prima che venissi al mondo. Là, in una di quelle soffitte, sopra un bancale, sistemarono una valigia verde scuro, Gino e Gastone, e dentro ci stiparono il presepio. Tutte le statuine - le pecore, i magi, due o tre bambinelli, pastori e oche, la capannola, i fili argentati - che ogni tanto, fuori dicembre, mi facevano nostalgia; e come oggi vorrei allungare i giorni che mancano al prossimo Natale - per invecchiare più lentamente - così ieri avrei voluto accorciarla, l'attesa della festa, e abitarci subito. E a parte la felicità che mi tagliava in due a riaprirla ogni fine anno, quella valigia per Gino era una cosa sacra. L'ho scoperto da grande: me lo dissero, Pietro e Rita, q

Un'incudine al collo

L'ultimo giorno di pioggia - tre o quattro or sono - piove come se dio non riuscisse a trovare un idraulico - e non è neanche domenica. Gli si è allagato il bagno, si vede: due dita d'acqua sul pavimento, e le infiltrazioni precipitano sulle nostre teste, inesorabili. Sto sopra ponte Allende quando arriva la scarica grossa. Un ombrelluccio a scatto - con Gatto Silvestro disegnato sulla tela - è tutto ciò che possiedo per difendermi. Vado a comprare la cena senza dar peso alle previsioni, che pure sono spietate. A metà del ponte, dove le mie scellerate scarpine estive fanno ciakcikciak , una ragazza con lo stesso guaio mio mi viene incontro, e un ombrellino ridicolo, rotto da una parte, con una stecca puntata contro il cielo - come un dito medio, come un insulto. Il marciapiede è stretto, su quel passaggio: da una parte il parapetto che protegge dal salto nel fiume; dall'altra la pista ciclabile, dove schizzano bici terrorizzate dal nubifragio. Quando

Il club dei fallimenti

Le cose sono cambiate. E non di colpo: impercettibilmente, centimetro dopo centimetro, come Civita di Bagnoregio, che si sfalda un niente al giorno e non te ne accorgi. In radio stamattina, finita la diretta - erano andati via tutti, scappati ad acciuffare il fine settimana, - ho girato da una stanza all'altra ricordando come fossero la prima volta che ci misi piede, e le prime stente parole. C'era la carta da parati al posto della vernice, un mixer meno moderno e i miei balbettii al microfono. C'era la mia giovinezza, che al contrario di Fossati talora ho tradito, decapitandone le smanie, accorciandone le stagioni. Ho preso a lavorare qua dentro che avevo trent'anni e adesso ne ho cinquanta. Quando è successo? Di notte, garantito: è di notte che la vecchiaia arriva, lei le malattie, e i presagi dei disastri, e che attorno al letto si radunano i fallimenti, e fondano un club. Ancora adesso, certe mattine è come se mi svegliassi da un sonno immane. Mentre dormivo alcune

Que viva Pedro!

Tra la fine di un racconto e l'inizio del successivo - già che mi sono messo in testa di scrivere un libro di racconti - esco di casa e viaggio; o do una regolata alle smanie, mi siedo e guardo film che ho perso, e non è solo un desiderio ma un peccato per il quale cerco espiazione. Esistono in effetti opere di cui ho solo sentito parlare e con cui avverto il bisogno di comunicarmi, come fossi il fedele sul corridoio che porta dal prete e dall'ostia. Sono convinto, da che faccio la scimmia dei narratori, che il sacro sia già negli esseri umani, del resto, e che si manifesti attraverso quello che inventano, senza bisogno di culti e religioni. Così vivendo arriva il giorno in cui ci si veste, si prende la macchina, si trova parcheggio, si fa la fila per il biglietto e poi si scopre che il film che volevamo vedere l'han programmato in un altro orario, e che quello sul sito era sbagliato. Non c'è tempo di aspettare lo spettacolo successivo, piove, la delusione brucia un

Lei

Fare una casa: quante ne ho fatte. E ho scelto ogni volta il colore dei sanitari - a me piacciono blu - e la ditta dei traslochi, e se la finestra dello studio - quando uno studio c'era - guardava a oriente o a occidente. L'ho fatta pensando a come ci sarei stato d'inverno - perché se una casa è quella giusta lo sai d'inverno, che abiti la stanza più buia e la illumini alla bisogna, ci piazzi una poltrona e ci giochi le notti a leggere. Ho vissuto in città, in collina, dentro a un palazzo e in mezzo a un bosco; ho vissuto progettando di cambiare, sempre, perché nessun posto era casa mia. E ho viaggiato così tanto tra le case perché sono in fuga. Scappo da lei . Ma lei mi ritrova sempre, ovunque io vada. Ancora ieri, è entrata in camera giusto a mezzanotte, che ero sul ciglio del sonno ma non ancora caduto. Mi ha abbracciato, mi ha stretto: ha le mani gelate, le ossa aguzze, mi ferma il sangue, il cuore. Se la racconto, come adesso, che è giorno, e tutto sembra un de

Olfatto

Copriti la testa col lenzuolo, non permettere che l'inverno ti prenda. Disponi le coltri in modo che i piedi non restino scoperti, né le mani: anzi, con le mani fai un risvolto e infilacele dentro, staranno al caldo. Lascia fuori solo il naso, all'inverno piacciono i nasi e devi concedergli un obolo, perché non sia troppo severo. Te lo gelerà solo un poco, ma non te lo farà gocciolare: sa esser gentile, se lo conosco bene. In ogni caso, mettiti un pigiama pesante, e aspetta la primavera . A ogni stagione accorciata, Zaira recitava questa stravaganza - era una zia di Pietro, era vedova, e una volta o due al mese saliva da noi a mangiare gli Oro Saiwa, così com'erano, secchi come una sentenza, dalla scatola che lei stessa si portava dietro da casa. Il passo corto, marziale, il vestito nero in ogni circostanza, le davano una fama paurosa, ai miei occhi, specie quando non c'era, e si annunciava al telefono. Son convinto però che quella storia dell'inverno, capace in

Il tempo è una stanza

A che mi serve studiare? - mi domandò una volta una mia allieva, sveglia e un poco superba, tanto da credere di essere sufficiente a se stessa. - Ho tutte le informazioni che voglio a mia disposizione, in un attimo. Posso essere ignorante e abile nello stesso momento: non ho bisogno della cultura per sapere come comportarmi . L'uscita era talmente enorme che mi affascinò a trovare una risposta che non fosse d'istinto, e le chiesi di pazientare un giorno: l'indomani avrei provato a replicare. Giocava con le provocazioni, quella ragazza: già altre mattine di quel tribolato anno scolastico - con cambi di sede, cattedre scoperte e avvicendamenti di presidi - gettava l'amo e aspettava che io abboccassi. Siccome però sono un vecchio pesciolino scaltro, prima di dargliela vinta provavo sempre a combattere, tanto che vinta non gliela diedi mai. Così quella sera ci rimuginai un poco, su quel che potevo dire: mi serviva qualcosa che fosse mio e basta, una risposta severa e one

Guarigione

Odora di ferro e salviette rinfrescanti, la donna che incrocio stamattina a metà di via Curio Dentato. Traina un trolley con due dita, saggiamente gravato appena di cose essenziali; le ruotine non stridono, sul marciapiede, fanno anzi un rumore di soffio, uguale ai ferodi del treno ad alta velocità da cui è di certo scesa, bella e consapevole. Come s'appiglia ai miei occhi sorride, abbassando la testa, però non rallenta: anche lei ha una destinazione esatta - mi sa - e non può accumulare ritardo. Spero scappi da un uomo che l'ha maltrattata, e corra da uno che sugli uomini le faccia cambiare opinione. Ha mangiato dei crackers, in viaggio, ci scommetto, la matita della fantasia - oltre il finestrino - a ricalcare le colline al principio dell'autunno, le case cantoniere, i passaggi a livello abbassati, i murales sui palazzi delle periferie. O magari è stata appena in vacanza, solitaria e leggera, cogli amori passati raccolti in un ricordo solo, come fiori di campo in un nodo

Trieste

A stagioni uguali corrispondono desideri somiglianti, pressappoco. Così, appena s'annuncia l'autunno mi viene voglia di vedere Trieste. Non ci sono ancora andato però, e il rimando ogni volta è misterioso e buffo. Un anno è perché abbiam già fatto le vacanze; un altro dipende dalla scuola, che inizia prima; un altro ancora la tentazione è troppo superficiale per sostenere il viaggio. Ho pensato che se la racconto senza averla mai vista, quella città di frontiera, qualcosa magari si smuove. Leggevo il Canzoniere di Saba, la prima volta che mi venne il ghiribizzo di partire. Stavo in via Franceschi Ferrucci, nello studio del dottor Marcello Cicogna ad aspettare il mio turno, ed era naturalmente ottobre. M'imbattei in quella frase che definisce Trieste un ragazzaccio aspro e vorace - tale io mi sentivo allora, e mi ci riconobbi. E poi in quella che ne rivela -  contraddittorio - il carattere di scontrosa grazia : allo stesso modo io vedevo Narni, burbera solo agli occhi d

Amori ritrovati

Ho dato la caccia a un coleottero, ieri mattina, nella stanza di Itieli destinata ai libri; aveva zampe lunghe e dorso peloso, somigliava a una mia lontana parente, innominabile. Alla fine si è arrampicato con dispetto sulla costa di certi romanzi di cui ho letto nove, dieci pagine, e poi ho lasciato al tempo e alla muffa, e all'appetenza degli ospiti che arrivano in collina senza letture appresso. Con la mano indispettita e il panno mangia polvere l'ho scacciato, e quello è volato oltre la finestra, indovinando la traiettoria millimetrica tra lo spigolo del muro e il battente socchiuso, e poi è impazzito di felicità nel cielo. Nel trambusto, quei romanzi per lettrici astinenti son caduti a faccia avanti, rivelando una fila di altri dorsi, dietro, di cui non avevo memoria, ingialliti e stretti. Chissà chi sistemò questo plotoncino di boiate davanti a Elsa Morante e a Silone; e soprattutto: chissà chi le comprò, chi le ricevette in regalo e da chi. Sono abbastanza certo che per

Un quarto di secolo

Devo essermi addormentato profondo, ieri sera: avevo bevuto, e la sfrontatezza di certe amiche - l'assenza di gelosia nel gioco che inventammo - han fatto leggero il tempo, e cancellato i sogni. Venti dopo mezzanotte siam crollati, io e loro due, nel campo di battaglia della stanza, e perciò era già il quattordici: il quattordici di agosto del novantasei. Stamattina non c'erano - non le ho sentite andar via - e la stanza era tutta diversa, e tutta diversa la casa, e fuori tutto un altro mondo: un giardino, un orto stento, - io che abito un quarto piano senza ascensore - condòmini differenti, e perfino i miei vestiti là in terra non ricordo di averli mai comprati. Ho messo il naso fuori e mi hanno salutato, come mi conoscessero, e mi han detto che la mia macchina aveva una gomma sgonfia. Quando ho chiesto Qual è? han pensato che fossi matto. Non ho mai avuto una macchina del genere. Sono rientrato e la televisione - una tv piatta, bruttissima, che si regge dritta per mirac

A favore di vento

Di tutti gli ospiti che vengono e vanno per questa radura sbilenca, che entrano e escono da quegli usci gracchianti, l'unico che non tradisce mai la parola data è lui, il vento. Se lo sentiste come uggiola quando scorta l'autunno e il suo armamentario di giornate corte, foglie arse, malinconie inspiegate e sentori di burrasca. E come sussurra se deve asciugarti i capelli, che agosto è appena al principio; e come scuote le finestre se lasci a corrente, quando ti fa sobbalzare e chiedere allarmato Chi è? Chi è entrato? Non è nessuno, non è mai nessuno, eppure ci speri che un'anima migrabonda ti si sia introdotta in casa, e chieda udienza, perché la ragione degli uomini è troppo elementare per far contenti i narratori. Io il vento l'ho bevuto ovunque, ovunque dissetandomi. C'era - dolce come un vino leggero - su quel promontorio greco ad aspettare una donna che aveva perso la strada; in quella città di Puglia magnifica e avvelenata, nei ventotto giorni da soldato; n

Il tempo breve

Dal 1967 a oggi il mondo è invecchiato impercettibilmente; il mio, di mondo, invece, è diventato decrepito: Gastone, Gino, Alessandra, sono morti, Rita e Pietro hanno ottant'anni - e ve lo giuro: erano due ragazzi, - Susi non stava nemmeno nei progetti del cielo e ora è una donna. Che disastro, che il tempo umano vada a una velocità spaventosa e quell'altro sia un pachiderma. Da questa stonatura deriva tuttavia qualche piccola fortuna, se posso dirlo. Tanto per cominciare favorisce l'evoluzione, perché ci si ingegna a lasciare una impronta, quando sei a scadenza corta, e lasciare un'impronta per come la vedo io vuol dire inventare qualcosa che prima non c'era e renderla di pubblico dominio: un figlio, una parola, una formula matematica, un gesto di coraggio, un ceffone a chi se lo merita, una speranza nel lutto. Oltre a questo la brevità del viaggio - come la tratta Narni/Orte - ci munisce di emozioni, e le emozioni ci danno la percezione che la vita non è propri

Far fagotto

Un altro agosto e poi si ricomincia a scendere giù per le stagioni notturne, dove le ore di buio sono più di quelle di luce. Dovrei esserne contento: l'oscurità mi protegge nella sua polla nera e mi suggerisce nuove forme d'arte illusa e nuovi atti di vilipendio agli scrittori veri. Eppure oggi che camminavo obliquo - per via della salita che ti scorta al centro di uno di quei paesi d'Appennino - ho intuito che ad assecondare tutta la vita il crepuscolo si finisce per raccontare sempre le stesse faccende. Pur con corpi differenti, più pieni e sonori, la canzone si ripete, e non è questo che cerca il narratore. A mia discolpa posso dire che motivi di desolazione ne trovo quanti ne voglio: la piazza, allagata di sole, era tutta morta, le sedie di plastica per gli spettacoli dei maghi impilate da una parte, il palco ingombro di teli di refe e rotoli di nastro adesivo. Cicale s'aggrappavano alle cortecce, intente a farsi scoppiare l'ugola, e non girava neanche un ess

Gli anni pimpanti

Neppure mezz'ora fa un ragazzo felicemente selvaggio - avreste dovuto vederlo - è passato sulle strisce pedonali di una via del centro con due lupi al guinzaglio. Era bellissimo, e dava l'idea di strafottersene di tutto: la green economy, le banche, il marketing territoriale. Era fantastico e i suoi due lupi ancor di più, camminavano a testa alta tutti e tre, fieri di non appartenere. Perché appartenere è fico ma non appartenere è sensazionale. Sono convinto fosse un commercialista, in un'altra vita, o un broker che si è ravveduto, ha mandato al diavolo i piani di accumulo, è salito in Appennino, ha messo tagliole innocenti e quando le bestie ci son cadute se l'è fatte amiche. Le ha addomesticate, inselvatichendo al contempo la sua indole burocratica, e trovando forse la felicità. Li ho seguiti finché ho potuto: più in là delle strisce c'è una rotonda, l'ho usata per tornare indietro ma quelli erano spariti, e chissà se la passeranno liscia, ad andare in giro

In vetta

Mi arrampicavo su per la mia città, da ragazzino, che ha il pregio di essere verticale, come tutte le città in cui è fantastico vivere, perché le cose piatte - i libri insipidi, presempio - appiattiscono la fantasia. Salire e poi guardare tutto da un'alta quota contagia l'intelligenza di intuizioni, invece: cresce la sfrontatezza, calano le paure, i battiti del cuore impazziscono, sembra che ti manchi il fiato - ecco l'infarto! - e invece c'è il caso ne venga fuori un romanzo coi controcavoli. Avevo il vantaggio di vivere a mezza altezza, ai tempi: via della Pigna, cosicché scalare il Monte era già partire a metà strada, come avessi piantato il campo base un pezzo su. Dalle dodici all'una poi era una beatitudine, invettarsi . Dalle case, dalle finestre schiuse, dalle bocche delle taverne, sortivano zaffate di pomidoro bolliti, di zucche abbrustolite, di conigli alla cacciatora unti di sughetti bianchi, e così sapevo che la signora Ruggeri aveva ritirato la pensio

Irrequietezza

Il viaggio che da questa collina di cinghiali porta alla civiltà passa giocoforza davanti al lago dove da ragazzino sperai nuotasse un dinosauro, per sentirmi un po' scozzese anch'io, e provare il brivido di andarne in cerca - negli inverni brumosi, col binocolo e il thermos del caffè - sopra una barca da esploratori. Sui due lati della strada corrono case che devono fare i conti da che sono al mondo con legioni di zanzare - io immagino - e infatti alle finestre trovi reti fitte e  nelle stanze niente luci. Solo un vecchio, su un balcone, sta sempre là, di vedetta, d'estate in canottiera, d'inverno - nelle ore centrali - avvolto da coperte fino alla testa. Passa la vita lì, come agli arresti domiciliari, e muove il collo ad accompagnare ogni macchina che va, per il resto pare impagliato. Ci pensavo oggi, che sono sfilato un'altra volta davanti a lui, a quanto siamo diversi. Lui vive della sua immobilità, ne trae energia quasi, aggiunge tempo al suo tempo già gros