Passa ai contenuti principali

Post

Visualizzazione dei post da 2018

La dolcezza

Il freddo delle stanze d'inverno aveva un pregio, agli occhi dei miei dieci anni: induceva Rita a posare sui termosifoni bollenti il mio pigiama, prima del bagno che mi calmava le smanie. Io faccio lo stesso, con mia figlia: ho assorbito cioè quel gesto perché credo che sia amorevole, e leghi le persone ben più della consanguineità. Ha a che fare col concetto di dolcezza, per come la vedo io. Abituati a certe attenzioni da ragazzini, poi da grandi non ci costa fatica rivolgerle ai nostri figli: è una specie di catena di sant'Antonio, ma senza seccature. Qui cominciano i guai. Perché ho l'impressione che a parecchi dei nostri ragazzi, oggi, sia mancato quel passaggio, la percezione di una accortezza affettuosa che hanno aspettato, ma che non è mai arrivata. Li ho visti, a scuola, e li vedo, girare le città, a manifestare cinismo e pratica del mondo, senza che l'uno sia la fine di un percorso ma, al contrario, un istinto; e senza che l'altra sia più di un'illusio

vITa

Per esempio di It mi piace la poetica dell'adolescenza, lucidissima e spietata. Ogni volta che ne rileggo una scena, mi persuado che King sia lo scrittore più frainteso del mondo. Ne parlavo a scuola - quando ci andavo - e ne parlavo a una cena - di recente, - con amici che mi chiedevano un parere sul film, manco fossi Morando Morandini. Partiamo dal libro, però - ho provato a dire, - che il film è bello ma il libro è superbo . E allora si son messi di buon animo a darmi retta, e ci siamo incamminati sulle tracce della banda dei Perdenti. Che diavolo di storia. Quella del romanzo, dico, e pure le nostre in fondo, di noi che eravamo lì, ombre spesse della guerra contro Pennywise. Ma di quelle magari parlo un'altra volta. Comunque. Ci siamo urtati al discorso sulla paura, incagliati, Non ne fa, che cavolo di horror è? han detto i più giovani al tavolo. Non deve farne - ho buttato là, - non è una storia costruita per quello, ma una storia "sulla" paura: c'è dif

Americana

C'è il vento nel mio sogno ora più ambito, una fattoria con la veranda in braccio alla sera, l'estate di una provincia americana che somiglia a Maycomb - città inventata dove Harper Lee impalcò la sua memoria più estrema - spuntini sul tavolo, bottiglie di coca e pick-up che tagliano l'orizzonte, e ballonzolando rincasano. Prima che cada la notte, e inchiostri tutto, accendo le lampade di carta giapponesi appese al sottotetto, fumo una paglia, stiro le gambe sulla staccionata e inalo il giorno che muore. Finché, eccolo che arriva. Robert Redford, dico, con una Cadillac bianca, fantastico nei suoi ottantadue anni, vestito uguale all'ultimo film - Old man and the gun - che chissà se poi sarà davvero l'ultimo, o è uno scherzo. Sale i gradini come scusandosi per il ritardo, in fretta, e io Che ritardo? Neanche sapevo che venivi , e lui Ma ci speravi, per cui vale lo stesso , e dopo si siede, e beviamo una cosa.  L'aria fresca della prateria ci leviga, spegnendo

Il futuro

Spengo tutte le luci e sto zitto, mi fermo, mi interrompo. Poso la cura dei giorni in un ripiano, assieme a Cecità , faccio un cenno a Rita e esco per l'arrampicata, a digerire il pranzo della domenica. Prendo le strade che guarniscono la città come strisce di crostata e  in pochi minuti - addosso -  mi piove la sera: nelle tasche, tra i capelli, sul naso. Veste le cose come un attore che sul palco appaia tenero e lunare, dopo che per tutta la mattina è stato colorato, e ciarliero. I palazzi, le auto in sosta, paiono fatti di cenere, o viaggiati lì dal passato, da un film di Capra, e lo stesso l'ospedale, dove arrivo di buon passo, scortato dalla malinconia. Vedo il futuro, se mi ci impegno. L'ultima nuova casa - ho giurato che lo sarà fino a che non torno alla prima, in vecchiaia - deve essere fatta a mia immagine e somiglianza, e l'anno che verrà un carnevale di letti da rifare, ansie, scoppi di allegria, idee, preghiere, presagi. Quello che ho passato sarà l'a

Area 51

C'è, c'è, è solo che ogni tanto si nasconde. Sale sopra il muretto dell'orto e se il sole picchia verticale si sdraia tutta, come un gatto, e sta lì a oltranza. Perfino si sfastidisce, se scellerato la corteggio: Fammi le distanze   - mi dice per cattiveria, e dentro a quel fare - maledetta ironia - insiste tutta la sua malarte. La tentazione, dico. Di smettere qualunque ambizione, posare i giochi, riporre i vestiti di scena. La tentazione del nulla, la tentazione a scappar via, a farmi irrintracciabile, a dirmi inafferrabile dalle voci, tutte e ognuna, che potrebbero inseguirmi. Lontano, oltre l'ultima eco rimbalzante del suono più maestoso, in un postaccio senza campo, primitivo, alieno. Via le parole, via lambiccarsi il cervello per impalcarle decenti, via la fame di storie che pur cibandomi non mi sfamano mai perché c'è sempre il sospetto di una storia migliore - indefinita - che mi fa appetente. Via il tormento dei ricordi, la cerca della grazia come elemos

La scarpetta di Platone

Fatti furbo , mi disse una volta un vecchio - o forse ero solo io che avevo diciannove anni a vederlo così. Ne avrà avuti quarantacinque, e comunque meno di cinquanta, e si vantava di conoscere il mondo. Se ne andava per le case riparando televisori, capitò in quella di certi miei parenti e mi prese di mira. Te sei ancora un lattante, mò ti imparo a vivere - disse, e cominciò a esaltare la scaltrezza, e che per far soldi non si può andare per il sottile, e che tocca sempre fare la scelta più utile. Annuii per qualche minuto poi decisi che non me ne importava, di piacergli, e gli chiesi se a far rifunzionare tv scassate fosse diventato milionario. Mi guardò come ti guardano i finti uomini di mondo quando gli scopri le carte, incattivito, poi rivolto alla padrona di casa sputò: Tienilo a bada, 'sto bardascio. Fa lo spiritoso . Fu il primo di una piccola ma non trascurabile serie di successi contro i cretini. Che, invecchiando, mi sono accorto essere un plotoncino sempre ben nutri

L'attenzione

Gli accappatoi, quando sei fradicio di doccia, han la sana prerogativa di farti perdere tempo: una manica è nel verso giusto, l'altra nel verso sbagliato. Sempre. Tu lo hai appeso come si deve, la volta prima. Magari eri distratto per un improvviso assalto d'amore, e l'hai buttato là sul lavandino, ma alla fine te ne sei preso cura, e mentre lei ti sorrideva compiaciuta, e si sfonava i capelli, lo hai rimesso al suo posto, sul gancino, con tutta la meticolosità di cui sei ricco. Con le maniche nel verso giusto, soprattutto. Passano un paio di giorni, rifai la doccia, c'è il caso che rifai anche quel gioco magnifico che è saltarsi - allegramente - addosso, e quando vai per indossarlo, niente: una manica al dritto una al rovescio. C'è un fantasma dispettoso che usa la mia vasca da bagno, io credo, e la notte sciala tra sali alla calendula e borotalco, sciupa tutta l'acqua calda e veste tutto quel di mio che trova in giro. Lo possino. E alla fine, all'alba, ri

Gli irregolari

Parlavamo dell'utilità dei libri, poco fa, a tavola. Una cosa che è venuta con sè, mentre aspettavamo il dolce, e qualcuno l'ha negata, non io, che coi libri ci convivo come un amante ostinato. Ho provato a dire che leggerli fa la differenza, che se incontri una persona che legge te ne accorgi, generalmente ha idee plurali, punti di vista poco granitici, curiosità per cose che vanno lontano, per le parole e la loro scorza, per le parole e la loro sostanza, e l'albero genealogico che le ha camminate fino a noi. Non ho convinto nessuno dei detrattori e non era mia intenzione: compito degli umanisti non è convincere, al massimo discorrere. Che è una cosa che mi piace assai, al pari della pizza napoletana e del gelato al torroncino. Così come credo che aver confidenza con le storie ben raccontate migliori la nostra vita e accorci le distanze dal prossimo, allo stesso modo sono certo che essermi invaghito di certe traiettorie di pensiero, di certe frasi-libellula, di certe af

Il viaggio è cominciato

C'erano e ci sono, attorno al tavolo, in platea, coi gomiti sulle balaustre, certi convitati sornioni che non vedi, eppure senza di loro niente si può. Io non potrei partire, sbagliare strada, chiedere ai passanti, stare in ansia perché faccio tardi, impazzire per un parcheggio, se quelli non fossero là ad aspettarmi. Hanno nomi mica da ridere: Proust, Tolstoj, Hemingway, Scott Fitzgerald, Flaubert, Calvino, Buzzati. Hanno battesimi impegnativi, che appena li evochi - innocua seduta spiritica - allargano sorrisi sulla facce, o sbalordìo, e talora producono curiosità di lettura, tanto che finisce sempre, qualcuno dei corsisti, per chiedere al libraio che ci ospita: Ce l'hai? La Scrittura della Memoria è in moto, il viaggio è cominciato. Una volta da ragazzo invidiavo i cantanti, che facevano tour pazzeschi, non tanto per il fatto di riempire gli stadi, quanto perché stavano ogni giorno in un posto diverso, e conoscevano gente nuova, e andavano a cena con la band alle due di

L'ultima poesia

Due anni fa ho smesso volontariamente di insegnare. Da un giorno all'altro: sono andato dal capo d'istituto e le ho detto Per me la faccenda finisce qui . Un gesto d'istinto, che alcuni elessero incauto. Rita per esempio non faceva che ripetermi E adesso? In tutto questo tempo ci ho ripensato, talora, a quella frattura. Il tempo stesso, la distanza che ogni giorno si ingrandiva, mi ha permesso di vedere più nitide le cose, come se gli occhi si acuissero a guardare l'orizzonte infinitarsi. E a parte Montale, io credo di avere oggi, finalmente, la risposta a quel mio reato non punibile, e non penso che la cambierò negli anni a venire, come uno che a poker ha in mano carte vincenti. Insomma, pensavo di aver mollato la scuola per il sospetto di non aver più nulla da darle, dopo sedici anni. E questa cosa aveva però suscitato un paradosso mica male: com'era possibile che mi fossi inaridito nel momento in cui invece trovavo le energie per cambiare vita, comporre un al

Federico Fociani

Una domenica come oggi, ma di un millennio fa, novembre assolato, tabaccheria chiusa, Gastone raffreddato, e Pietro che si divincola dalla severità e mi porta a fare un giro per Narni - io che lo imploravo di accontentarmi da quando, a due anni, già insonne, a notte alta recitavo Papà, 'ppello e 'potto, 'ppello e 'potto. Sì? Forse ha cominciato in quelle notti complicate a considerare la paternità un'idea non così geniale ma ormai ero lì, non poteva rimandarmi indietro. Così quella mattina larga di novembre, fredda il giusto, già allegra del Natale che sarebbe arrivato - per la mia consueta immortalità a tempo - afferrò davvero cappello e cappotto e mi portò fuori. Girammo poco, si fermò in edicola e mi comprò l'Almanacco Topolino. Tornammo indietro, leggeri. Al Belvedere - chi conosce Narni sa di che parlo, chi non la conosce progetti un viaggio - ecco che ci vengono incontro Fulgenzio e Federico, un altro padre e un altro figlio da soli; ci parve come di ca

La mia amante ostinata

Tutte le volte che ho la tentazione di salire lassù, scopro che quella tentazione è paradossale, perché non solo è innocente ma al contrario delle altre tentazioni, alleggerisce, anziché appesantire. Il problema è convincere lei ad accompagnarmi - la mia amante, dico - perché sa che cammin facendo mi libererò della sua presenza uno strato alla volta, come vestirsi a cipolla, sentir caldo, e buttare dal finestrino maglie e calzoni pesanti. Non le piace farsi lasciare a terra - come darle torto? - ma è una specie di rito che ha senso solo se lei mi asseconda. È vero:  con quegli alberi e il convento, la messa prefestiva delle 18, il tau per cui lasciare un'offerta e il panorama silenzioso, lei non ha nulla a che fare: è un ingombro, un peso; è fatua, meschina. Protesta, sbraita, mi ama - giura - e non mi lascerà mai, ma già al primo tornante, tra Sant'Urbano e Altrocanto, impallidisce, è spaventata, uggiola, sa dove stiamo andando e si pente d'avermi detto sì, ma solo non

Strudel

Il tempo dei ricordi narrati è l'imperfetto, magnifico espediente che fa riaccadere adesso le cose di mille anni fa, te le proietta davanti come un film che ogni volta ricomincia, e sorprende, perfino: con i particolari cambiati, le inquadrature inedite, e nuove scene che tornano, e che per un po' avevi dimenticato. Tutta la mia scrittura è allo stesso modo imperfetta, perché coglie un bagliore e mai la luce piena, dieci parole dentro alla conversazione di un giorno intero, un gesto scocciato di Gino in mezzo a una stanza adesso chiusa, ferma, vuota. Si sposano alla perfezione, l'imperfetto e la mia imperfezione - si completano, paradossalmente. Quando io racconto fatemi allora il favore di percepire i dettagli omessi, le voci sovrapposte, il sapore delle pietanze, il prima e il dopo di quel che accade nella mia povera prosa, e il durante - i fotogrammi tagliati. Solo così potrete avere un quadro abbastanza illuminato. Questo fa chi scrive - santo cielo: accende cand

'a scema

Col cauto ottimismo che mi piglia una volta l'anno, ma solo nei bisestili, ignoro un parcheggio relativamente comodo nei pressi di un supermarket perché conto di trovarne uno ancora più agevole a due metri dall'ingresso. Mi va di lusso e faccio manovra, mi infilo, e colmo di felicità come un mistero gaudioso, tiro fuori dal portabagagli le mie shoppers con le frasi di Mirka, di cui vado onestamente piuttosto fiero - delle frasi, dico, e pure di quella mia seconda figlia scapestrata - e mi avvio. Non mi va di prendere il carrello - che tutti lascerebbero dove capita se non ci fosse la moneta da recuperare, e dato che continuano a farli a quel modo vuol dire che la civiltà è ancora una parola senza corpo. Le porte scorrevoli si aprono un istante prima che tu ci sbatta la testa, è un fatto di coordinazione, devi rallentare il passo quando sei a mezzo metro, esitare, e aspettare che la fotocellula trasmetta il comando alla ghigliottina orizzontale. Una questione di tempi. Stavolta

Per non essere da meno

Casa mia è solo la casa in cui sono nato, ma giacché sono nato in tre o quattro case diverse, casa mia sono così tante che a ricordarle diventano una soltanto, gigante, che da via della Pigna sconfina in via Cardoli, trapassando - Fraporta - Mezule come una spada, e da via Cardoli s'allunga sulla Flaminia Ternana, e da lì, da quei viali quasi romani di alberi che perdono i capelli, scende tuffandosi in via della Doga, davanti al passaggio a livello, a due isolati dal magazzino dei tabacchi che non c'è più, e che quando c'era odorava di trinciato e saponette Palmolive. Sono venuto alla luce un poco alla volta, scoprendo il mondo dentro a quelle quattro case di parenti innamorati e alle loro trenta stanze, camminando gnomo per corridoi e disimpegni bui, affacciandomi da finestre che davano su panorami ogni quattro volte differenti: la sartoria dall'odore stantio di  Vania, il monumento ai caduti, il chiosco di Battistelli e la carrozzeria di Falasco -  davanti alle cu

Castello di spettri e di vento

(foto di Simonetta Sperandio) Cammina e arrampicati, cammina e arrampicati - me lo ripetevo ieri dopo un pranzo leggero di pane di Lugnola e prosciutto nostrale - strepitoso - nel momento in cui i miei occhi hanno visto per la prima volta Celleno. Un altro dei miei viaggi ispirati dalla curiosità di scoprire cosa c'è nella memoria d'Italia, nella sua pancia, nei castelli abitati da spettri e vento, eretti mattone su mattone, malta su malta, per calcolo di equilibrio e olio di gomiti. Ottobre sudava e caracollava dentro a un caldo inspiegabilmente estivo, e io con lei. Ma perdersi d'animo e rinunciare non fa per me, neanche se - come appunto ieri - mi trovo davanti una salita micidiale che curva a verso di mulattiera fin sotto la porta d'ingresso, e il sole picchia allegre randellate sulla testa. Volevo entrarci tutto fiero, nell'acropoli di questa roccantica viterbese, piccolina e sghemba, sbreccata sulla cima delle torri, romanica nei resti, simile

Di boschi e di lupi

Se prendo a camminare forte e rinnego la stanchezza, e ignoro le suppliche dei muscoli, finisce che mi ritrovo, a sera - allo sfinimento - lontano dalle querele degli esseri umani, lontano dalle loro case, dalle autostrade, e precipitando indietro di un paio di secoli sconfino in un posto di alberi fitti, ghiandaie che ci attrezzano nidi spericolati, e nessun sentiero più da assecondare. Sono allora, e finalmente, irrintracciabile, e dagli essere umani stessi e dal campo di qualsiasi cellulare. A quel punto respiro, faccio un po' di stretching, mi siedo sugli anni circolari di un tronco schiantato e immagino come sarebbe costruirci casa, tra quei paraggi. La mia immaginazione personale, affamata di paura sin da ragazzino, avrebbe di che saziarsi: una volta incontrerei il lupo loquace; una volta uno sposalizio di libellule; una volta - nella radura - il cerchio delle fate, e là mi apposterei, notturno, per soprenderle in balli e suoni di ocarine. Eccola l'ampiezza della mia v

Un paradiso su misura

Dallo stupore alla nostalgia è passato del gran tempo e non me ne sono accorto. Ieri ero all'Upim e le donne della mia famiglia mi compravano i vestiti, mi mettevano davanti agli specchi, discutevano tra loro su quale mi stava meglio, e senza chiedermi se mi piacessero ne prendevano due o tre, per i giorni di festa e per quelli di tramontana. Mara, Gina, e in subordine Rita erano le Parche del mio destino di piccolo lord, e ci provavano gran gusto. Oggi ci entro da solo, a cercare un K-Way, e certe ombre del 1974 mi pare scivolino ancora sui pavimenti, si impalino dietro di me che sto davanti a nuovi specchi, e giudichino quello che indosso. Sta sempre lì, quel posto che è l'unico ipermercato dove entro volentieri - forse per l'antico imprinting che dicevo, come le papere di Lorenz - e dove mi trattengo strozzando la fretta e - tanto per ripeterlo - con un certo groppo di nostalgia. Ecco cos'è la scrittura, maledizione: ricordo e rimpianto, un frastuono di giorni e ann

L'imperfetto

Ho corteggiato per così lunghi anni la perfezione, che solo di recente mi sono accorto che non esiste. Credevo fosse un'isola dove poter sbarcare dopo aver fatto il giro del mondo, e lì metter su casa, e una volta iniettato cemento armato nelle fondamenta nulla l'avrebbe scossa. Invece. Invece non solo non è mai nata ma il suo contrario - che ho sempre considerato una mutilazione del talento - è probabilmente un valore. Da che scrivo - con umiltà, cento difetti e un pregio - mi sono ogni volta rammaricato di non aver centrato bene una storia, di aver usato una parola al posto di un'altra - naturalmente migliore ma venuta dopo, a libro edito, e quindi troppo tardi, - di aver creato confusione attribuendo a un personaggio gesti e umori riservati due pagine prima a un altro. Maturando - o come direbbe malignamente mia figlia invecchiando - mi persuado che l'imperfezione è il sistema migliore per raccontare il mondo imperfetto che abbiamo. È una questione di sintonia, ins

Così fan le donne

Ho aspettato minuti che sembravano giorni, anni che adesso sembrano attimi, e se volessi insistere nel luogo comune ore che somigliavano a stagioni. Aspettare: che verbo sorprendente. Lo carichi nel tuo alfabeto e lui racconta con lo stesso piglio quando stavi sulle spine per un emocromo e le volte che lei ti disordinava il tempo, rompendolo e riaggiustandolo a suo vezzo, e a te toccavano speranza, godimento e tortura. Così fan le donne, che impastano i tuoi desideri nei loro confronti con le scaglie di lucertola, l'umore di una naiade - perché loro sono maghe - e ne fanno essenze da bruciare, e colonizzano la tua vita, e danno il ritmo al sesso, che come tutti sanno è amore + gioco. Funziona così: se tu ne hai voglia ma loro no puoi anche morire; se ne han voglia loro e tu mica tanta per via che in tv c'è Starsky e Hutch ti tocca darti da fare. Matriarcato del talamo: dio le benedica. Non vorrei divagare, però, e allora - dicevo: - aspettare . Ho questa idea per cui se mi

L'inizio

Settembre è un posto e Siracusa un tempo, e il vento greco che soffia a Ortigia un alfabeto primordiale di genti solo in apparenza estinte, lo stesso delle volte che davanti alla cattedra provavo a coniugare l'aoristo senza scendere sotto al sei, che provavo a recitarlo senza esserne degno. Certi scherzi dei sensi, certe sinestesie acrobatiche, si fanno largo tra quel che avrei voluto scrivere oggi - che non ricordo più cosa fosse, - e si impossessano di tutto lo schermo. Arrivano così a tradimento i voli autunnali in Sicilia, il primo con te che stavi morendo, il secondo al laccio di un'euforia che avrebbe prodotto una gran mutazione  - come un libro leggero che si ispessisce di significato. Ecco che mi chiamano scrittore , ecco che mi viaggiano fino a Palermo, fino a Ragusa e Scicli, ecco che lambendo l'Etna me ne intenerisco, per il ricordo della scalata del '78, ecco che al ritorno, nel buio del sedile di dietro, tu mi dici Voglio tornare come ero. La mia prima

Panfilia

Riecco la memoria della culla, mannaggia. Per quanti giri faccia attorno al mondo - che in realtà son giri appena fuori dalle mura - ricasco a ogni ritorno dentro la teglia della mia città, e ne esco bruciaticcio per il troppo amore, come le mani che afferrano una teglia vera dentro a un forno. Oggi a galla ci torna una cartoleria: stava dove adesso c'è un uomo che vende gioielli, e non so se è una metafora della decadenza del romanticismo, o cosa. Le spettre sere d'inverno, fumanti dell'alito di anime in pena, tra via XX Settembre e i vicoli emissari che si ramificano fino all'acropoli stagnava una melma nebbiosa, letteraria - presagio, chissà, del mio povero mestiere. Era in quel preciso istante che uscivo, con un pretesto. Rita a quell'anarchia diceva Dove vai con questo tempo? e io Proprio incontro a lui ! e mica capiva: mai. Del resto chi ne capisce di pazzia, tra i savi? Ho bisogno di una matita! , strillavo già sulla porta, e se dovevo per forza giustifi

Amor bifronte

Io di quella città ricordo il dolore lancinante, a otto anni, per un guaio che ho poi scoperto si chiama parafimosi, il sangue sulla lettiga, l'anestesia che non mi fecero, l'alcool sulla ferita viva, il bisturi che rifletté la faccia di Rita dietro il carnefice, e il sospetto di essere stato squartato. Invece mi ricucì, quel macellaio, e a gambe larghe sparai perfino, quello stesso pomeriggio, contro certi barattoli al Luna Park, beccandone mezzo. Ne ho visti di posti incistati a strafottenza sulla pelle del mondo, ma lei li batte tutti. Mi sfiancava da ragazzino e mi sfianca da vecchio, a camminarla e a pensare di andarci. Per questo la frequento solo se devo, e a piccole dosi. Pure l'ho amata quando mi sembrò smisurata prigione, asfissia, con tutti quei caseggiati enormi eretti a palizzata, i murales che rifanno Pazienza all'avvicinarsi delle stazioni, il dermatologo cercato per un pomeriggio intero in un intrico di quartieri, i viaggi con Pietro, in curva nord o

Dieci per cento

Ho scoperto una crepa nel progetto di dio, volevo essere il primo a dirvelo. È successo stanotte, che  abbaiavano i cani sotto l'albero d'uva, e l'istrice si avvicinava alle case, e l'insonnia mi ha fatto visita alle tre, mi ha affacciato alla finestra, e c'era l'istrice, e c'erano i cani. Ha acceso una luce, l'universo, nell'incavo tra due colline - dieci chilometri in linea d'aria - e ho vista colare una cosa densa come il miele dal cucchiaio alla terrina, filamentosa, e poi spegnersi all'orizzonte, barbagliando. Dio stava orinando, io credo; si sveglia a quell'ora e la sua prostata millenaria urla, e si svuota sul mondo. Così ho avuto la prova che siamo la sua ritirata, un destino come un altro, se solo si fosse premurato di dircelo. Lì ho pensato alla vita e alla morte - niente di meno - a quanto sono dissimili, una gonfia , piena di tutto, l'altra vuota delle stesse cose. E gli avrei chiesto, se si fosse trattenuto ancora un p