Casa nasconde ma non ruba, sentenziavano alle mie orecchie ragazzine gli adulti, nell'adolescenza ingabbiata che avevo. E io che pensavo lo faceva però troppo bene - casa - quel sottrarre oggetti, tanto che non vedevo la differenza tra la mia dabbenaggine e un furto con destrezza. Oggi uguale: sono tre giorni che non trovo gli occhiali da sole, quindici che non ho nuove di certe scarpe, due mesi del byte dentale. Ogni sparizione oltre che un mistero è una grana perché mi sconfina nel passato, alla memoria dell'ultima volta che ho usato, avvistato, quel che ho perso. Come se non facessi già fin troppa ginnastica dei ricordi. Nel passato - ve l'ho mai detto? - abitano persone che mi sono accorto di amare dopo che sono morte. E questo è un altro smarrimento: magari sono sempre nella stanza accanto alla mia, loro in anticipo e io in ritardo, ed è un rincorrersi comico, e mi sorridono mentre dormo, e mi chiamano con voce spenta e ogni volta è un prurito di nuca. Certe disperazioni che si mutano in speranza ne conosco, però. Hanno a che fare con la mia scoperta di dio. E di riflesso con la sua di me. Ho cominciato a vivere a 42 anni: quando ho preso a soffrire da professionista. Il dolore mi si attaccò allora così furente che nell'abbacinanza mi ha mostrato una parvenza d'infinito, una sciocchezza, un senso flebile, passante, eppure netto. Non c'è da sbagliarsi: è dio. Sta nei tonfi del cuore a ogni posto d'infanzia ritrovato; nel sovvenire di un ricordo in esilio, riavvistato sulla strada di casa; nei mattini che mi spalanca la speranza, e vivere mi sembra ancora un'ottima alternativa. È la tribolazione che mi ha aperto questo terzo occhio della nostalgia nitida. Prima non ce l'avevo. E tutto questo imbarazzo come per una frittura esagerata, questo strizzarsi di budella, non è chimica, non può. Io penso sia l'eco della tenerezza che prova a guardarci. Ce ne arriva un'onda, minuscolo maremoto che intride, e lassù - o di sotto, di fianco o ovunque sia - il vecchio si compiace che non siamo proprio sordi. È questo dubbio, questo litigarci, questo maledirlo, la mia fede. Non farei mai tutta questa fatica con uno che non esiste. E credo. Credo che a dio piaccia essere creduto così: da uomo e non da ultrà. E credo che ammiri chi vive non come un passaggio ma come una grande passione. Come quando apprezzi un regalo che ti fanno. Lo dicono finanche certe canzoni di cui ho accettato solo da poco la necessità. Le porterò in scena, sui palchi che vorranno darmi, e racconterò attraverso loro, lui. Il nostro fraintenderlo per millenni. La misericordia sua che sta - compagna - nella notte più infame. Le bugie dei preti e le sue scuse: Non potevo farvi diversamente da così.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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