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Visualizzazione dei post da settembre, 2016

Aspettare

Leggo i giornali di regime e resisto - che bel verbo, così come il sostantivo sorella - alla tentazione di credere necessarie le Olimpiadi. M'indigno non tanto della smascherata ansia dei feudatari e dei titoli cubitali dei loro maniscalchi quanto della creduloneria delle persone per bene, che li difendono via web. Così resisto, e resistendo aspetto, perché aspettare è altro verbo magnifico, sorridente e fermo. Curiosa, 'sta cosa. Aspettare sottintende un movimento interiore -  l'emozione -  e pure è azione inanimata, preludio a un bene, intenzione senza dinamismo.  Emozione, azione, intenzione. Esistono parole più profondamente umane? Precisamente da giovedì 22 aspetto di rivedermi neonato e ragazzino nei film in bianco e nero di Gastone, che credevo di aver perso in uno dei cento traslochi; invece stanno, me l'ha detto Sara. Stanno nella casa primordiale, Narni, e non ho davvero idea e memoria di come possano esserci finiti. Tant'è. Li riverserò su disco, dal

L'albero cavo

Per cui ricammino le stesse strade - dell'infanzia dico - e me le vado a cercare col lanternino, per capire se ci faccio o ci sono, a essere così scervellato. Così fradicio di ricordi come fossero pioggia, e così disarmato, quando mi assalgono dai posti dove ho vissuto in bianco e nero, a riguardarmi  dai film di Gastone, che non trovo, e non so in quale delle tante case li ho seminati. Ieri avevo questo atteggiamento qua: tenero. Il pomeriggio mite, un'ora larga, capiente di quel che volevo metterci: qualsiasi cosa. E qualsiasi cosa per come la vedo io ha a che fare con la memoria. Parcheggio davanti la casa che avrei sempre voluto vedere dentro, come una donna quando non ne hai ancora vista intima nessuna, e che ieri aveva scritto Vendesi sulla porta, e per un minuto - sapete quando prende quel dissennato lampo di incoscienza che faresti qualunque enormità? - volevo telefonare, bussare, chiedere quanto vogliono. Lì nei dintorni - san Girolamo, la discesina sopra la Vallett

L'attimo furente

Dopo tanto clamore, risonanze magnetiche a Rieti, Pet a Foligno, oggi mi sono risvegliato qui - sciolto il torpore pomeridiano - in una stanza da letto senape che da su un orto di fichi piccoli e saporiti, solo ma appena per un attimo, e non più perversamente, alle due e ventiquattro di un sabato settembrino. Fino a quattro anni fa e a partire dai tre anni precedenti ogni risveglio era un tuffo in una pena infinita, come se la pena, il terrore, fossero una piscina immane. Chi non ci ha nuotato mai non sa di che parlo, beato lui. Il problema non era dove andare a mangiare, che film vedere, se era il caso di far l'amore due volte nello stesso giorno - cosa che a volte sembrava impudica e per questo sana - ma se le plasmacellule monoclonali avevano colonizzato o no un nuovo tessuto. Lo capivamo dall'emocromo: tre prelievi a settimana. Anzi, ce lo spiegavano, interpretando i numeri come pareva a loro, e tenendo nascosta o svelando - per cinismo, indifferenza - la verità. Come sono

Dieci decimi

C'è una piccola sbalorditiva canzone di Fabio Concato che racconta della malinconia, di un viottolo in mezzo ai muri bianchi di  un paese di mare, della luce che manca nello stesso tratto da quando se ne ha memoria; e di una casa di amici, più in là di quella malinconia ma dentro ancora il recinto della tenerezza, e di lui che ci arriva inatteso, di sera, e gli fanno festa, e si mettono a suonare tutti assieme. L'ho ricantata ieri, a parole stente perché tutte non me le ricordo, e soprattutto sottovoce, per pudore, mentre camminavo sull'acqua di Stifone - non come Cristo: sul ponte di ferro. Che lo so che ci ha un'altra origine, il nome - era un cantiere navale - ma a me piace spiegarmelo col vento, lamentoso, lugubre, che sfantasma d'inverno tra le gole, s'infila nei comignoli e entra senza invito in cucine dall'impiantito a mattoni. Da un po' di tempo sono soddisfatto, e della mia vita e della mia età; se potessi fermarmi mi fermerei ora, non a trent

Senza olio di palma

Avevo prenotato il mio treno virtuale, nell'attesa di fare un viaggio su un treno vero, che progetto da anni. Me ne sarei andato - infantasiato - in una baita conficcata in un bosco fitto, e ne avrei affabulato, come il sognatore cupo che sono. Questo post doveva chiamarsi, per l'appunto, La baita : didascalico e innocente. E avrei voluto raccontare il romanticismo dell'assediato: dalle tenebre, dalla malinconia, dai lupi. Bellissimo. Invece mi imbatto nelle vignette francesi sul terremoto, e nei commenti dei morti viventi. E disdico il treno dell'immaginazione, e mi ci metto di punta a capire se ci fanno o si sono. I morti viventi, dico. Vediamo se li ho studiati bene. I morti viventi sono quelli che parlano sempre dopo . Dopo una disgrazia, dopo uno scandalo, dopo l'arresto di qualcuno. Loro lo sapevano prima - lo malcelano dai post - ma ne parlano solo a cose fatte, col tono didattico e supponente dei secchioni. Sono certi - senza ombra di dubbio