Passa ai contenuti principali

Il fattore campo


Ho passato l'estate di due anni fa a fare avanti e indietro con Capranica; là c'è un centro dermatologico con i controcavoli e ci andavo a curarmi una mano: la dermatite atopica se l'era fatta amica. Così va il mondo. In realtà ogni viaggio era una scusa per scappare da via Patrizi, dalla fauna che l'abita specie d'estate, salire in macchina, accendere il climatizzatore, mettere il disco giusto - studiato sulla distanza di ottantadue chilometri; un'oretta, quindi - e dare gas, infischiandomene di tutto. Ci ripenso in questi giorni di post trasloco ancora caotici e di messa a dimora del futuro prossimo e mi sbalordisce la quantità delle cose che sono accadute, tra allora e adesso. Ho rivoltato la mia vita come mia nonna fece con un cappotto: lo dirottò su mio padre dopo che era stato di mio zio, e ho il sospetto che a quel tempo già fosse passato tra le crune gli aghi e le mani di sarte di vicolo almeno un paio di volte. Così è la mia vita, cui cambio la fodera, attacco alamari nuovi e via: portabilissima.  
Capranica, in ogni caso, mi ricammina dentro faticosa e nostalgica. Regnava un'estate timida, due anni fa, e il viaggio era di poco sudore; faticoso d'ansia, a volte, quando nessuno veniva a capo del mio malanno. Ma anche, mi dispiaceva tornare, perché m'ero ambientato in quella clinica specchiata, dove ogni volta ti capitava un medico diverso ma che però sapeva il fatto suo, e una mattina una dottoressa con due gambe da infarto che può darsi in passato fosse stata ballerina, o suora. Suora, più facilmente, che son quelle che prendono i voti proprio per nascondere sotto la tonaca garretti spettacolari. Indugiavo fuori della clinica, delle volte, perché mi dispiaceva rincasare. Vendevano certi tramezzini bresaola e fontina, al baretto prefabbricato, che ci riandrei solo per mangiarne ancora. E c'era un'edicolante appena di là dalla strada che restaurava vecchi fumetti e li vendeva a prezzi irrisori. Disse che lo faceva per non farli morire, e che del denaro non gli importava. Ho fatto scorta, come potete immaginare. Là in clinica, mentre aspettavo il mio turno e mi rallegravo perché ogni minuto in più di indugio era un minuto in meno da vivere a casa, ho scattato foto a stanze vuote e atrii dalle pareti celesti,  e poi le ho perse, o ho dimenticato dove le ho archiviate, o le ho buttate, per non rivenire ai ricordi con inutile ostinazione. Mi piace giocare in casa, questa è la verità. Mi piace giocare sui miei sentimenti, ovunque si manifestino. E mi piace così dannatamente scriverne che mi meraviglio che per un gran pezzo della vita ho fatto altro. Lo chiamo il fattore campo. Scrivo tra le mura amiche: le mie nostalgie rotonde. Parlo di loro, di me. E raccontarsi onestamente, immagino sia il compito di ogni scrittore responsabile.







Commenti

Post popolari in questo blog

Avvento

Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra

Tre circostanze fortunate

Tu adesso chiudi gli occhi che io ti do un bacio. Chiudi gli occhi perché il bacio non devi vederlo arrivare, devi fare in modo che l'attesa sia una fitta dentro al petto, che la mia bocca s'aggrappi alla tua quando non ci contavi più, quando pensi che me ne sono andato e t'ho lasciata là, ingannata e cieca. Mentre aspetti il tempo ti sembrerà differente - il tempo dell'attesa di un bacio sfugge alla gabbia consueta - e se alla fine ti chiedessero di contarlo dovresti fare come i bambini, con le dita, e sarebbe lo stesso un inganno. Non è una questione di età, io ho la mia e tu la tua, non siamo alle prime armi. Ma anche la tenerezza - perché è di questo che stiamo parlando - muove con un tempo tutto strano, asincrono, ed è la stessa di quando avevamo vent'anni - tu più di recente - rinvigorita però dall'autostima, che alla giovinezza non si addice. Poi vorrei tenerti addosso, come in quella canzone di Paoli, stringerti alla mia camicia bianca e dirti che probab

Alcune ragioni contrarie all'infelicità

Perché sei infelice? Perché non riesci a starci dentro, alla felicità, per più di dieci minuti? Io credo che dovresti ragionare su queste domande, così intime e così terribili. Se vuoi ti do una mano, molti dicono che ci somigliamo, sarà più facile per me che per un altro suggerirti una via d'uscita. Sei infelice nonostante tu faccia tutti i giorni quello che ti piace. Pensa se non fosse successo, che avessi quei piccoli talenti che alcuni ti riconoscono: parlare in radio con disinvoltura, scrivere con leggiadria, tenere avvinti venticinque ragazzi con un poeta che per la prima volta non sembra loro inutile. Pensa se non avessi quei piccoli talenti ma fossi divorato dal desiderio di averli, e ogni tua invenzione passasse inosservata, o peggio fosse evitata come la peste. Questa attenzione che ti dedicano, non è già motivo di felicità? Le parole - lusinghiere -  che ti regalano a corredo delle tue, non sono una buona ragione per essere felici? E quando hai viaggiato per l'Italia