Da ragazzo amavo quel boccone di tempo che c'è prima di dormire e dopo aver posato il libro sul comodino, ma solo se era d'inverno, immerso nel freddo titanico della camera da letto, e m'involtavo nelle coperte come una farcitura, abbracciato a me stesso, e ascoltavo tutto l'impercettibile suono che faceva la notte. Mi dava protezione, quella tana, come bivaccare all'aperto ma addossato a una rupe, come un evaso in fuga; o in un bosco coi lupi attorno, protetto da fuochi. Per anni ho progettato una settimana in una baita di montagna, senza niente a parte un po' di cibo e una catasta di legna e si vede che l'estro da cacciatore di frodo non mi è passato, se ancora quel desiderio talora rimpalla. Ne faccio poi altri di desideri che se non arrivano a sporcare le stelle, quanto meno hanno una traiettoria rispettabile, tanto s'allunga la fionda dell'elastico. Di sogni che mi hanno raccontato persone morte poco dopo ne ho le tasche piene, forse porta sfortuna spiegarli prima che facciano il loro corso, così gli cambio posto e ne srotolo altri - inventati - in vece di quelli veri. Questa stagione di scappellotti di vento, piogge e siccità mi fa ammattire, mi scontorna, non so come gestirla, c'è nelle canzoni ma sono appunto canzoni, fosse per me scapperei al mare finché non si popola di famiglie querule, e davvero ci sono andato, almeno a fantasia: il romanzo futuro è collocato tutto lì, come un vaso che porti dal corridoio in terrazzo appena lo guarda il sole. Ci tengo tanto e mi piace assai quella sua leggerezza da canzone d'autore, lo scherzo, l'erotismo, l'ironia che ci ho messo dentro a mani piene, e l'incoscienza che ho pagato a scriverlo sconfina con l'anarchia. Che c'è di più divertente? Nel tempo stesso ho preso a far le cose, queste cose, questi accaniti opifici di parole e tutte le sintassi che scrivo e metto assieme arbitrario, con la cattiveria inedita che ci vuole. L'obiettivo, conta quello. Che non è fare soldi ma tutte le cose nel modo migliore che posso. L'etica del lavoro, la chiamano. Maggio mi scompiglia, devo andare a tagliarmi i capelli e ho rimandato perché stavo male: settimana scorsa sembrava avessi inghiottito lo strofinaccio della cucina. Ma intanto oggi riparto, oggi e domani, e Mirka appresso. Non fidatevi di chi vi racconta che un libro muore due mesi dopo che è uscito. Il mio ancora viaggia che è un piacere. E allora questa è vita e il resto conta poco e niente.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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