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Visualizzazione dei post da maggio, 2016

Atteggiamenti

Un uomo che sembra una salsiccia sta in piedi giù dal marciapiede, la punta delle scarpe sulla prima striscia pedonale di un incrocio in centro. Una via trafficata, senza vigili urbani, dove pedoni, auto e moto si organizzano tra loro per sopravvivere. Comincia via Battisti, lì dove dico, e ci passa l'anello di piazza Tacito, e nei paraggi c'è una filiale della BNL, nella città che non è la mia eppure in questi anni lo è diventata. Non so e non voglio dare altre spiegazioni: il vantaggio dello scrittore è questo. Non ha senso specificare, scolpire i dettagli, perché in tal caso farei un altro mestiere: il cronista, il cartografo, che guardano tutto con minuzia e tutto appuntano. Per cui fate uno sforzo di fantasia, tanto non circoscrivo. Perché mai quell'uomo sembri una salsiccia lo dovete immaginare voi. Ha la testa e i piedi piccoli e il ventre enfio, dirò, se mi gira. Ma giusto per mettervi sulla buona strada. Il resto - se i vigili urbani stanno in centrale a flirtar

Stagione di vento

Da ragazzo amavo quel boccone di tempo che c'è prima di dormire e dopo aver posato il libro sul comodino, ma solo se era d'inverno,  immerso nel freddo titanico della camera da letto, e m'involtavo nelle coperte come una farcitura, abbracciato a me stesso, e ascoltavo tutto l'impercettibile suono che faceva la notte. Mi dava protezione, quella tana, come bivaccare all'aperto ma addossato a una rupe, come un evaso in fuga; o in un bosco coi lupi attorno, protetto da fuochi. Per anni ho progettato una settimana in una baita di montagna, senza niente a parte un po' di cibo e una catasta di legna e si vede che l'estro da cacciatore di frodo non mi è passato, se ancora quel desiderio talora rimpalla. Ne faccio poi altri di desideri che se non arrivano a sporcare le stelle, quanto meno hanno una traiettoria rispettabile, tanto s'allunga la fionda dell'elastico. Di sogni che mi hanno raccontato persone morte poco dopo ne ho le tasche piene, forse porta sfo

Altri passeggeri

Da ragazzino per casa trovavo cuscini ornamentali, libri di Erich Fromm, busti di Giordano Bruno. Avevo questa ostinazione a entrare nelle stanze dove stavano e se non c'era nessuno era meglio, perché mi rassicuravo da solo. Casa mia dalle cento camere aveva l'ordine immobile dei teatri smessi, fuori il tempo accumulava malattie, mi tagliavano i capelli a scadenza, scrissi sulla carta da parati, dietro una foto in cornice, la data di quel giorno, perché intuivo che ci fosse qualcosa di struggente, a riscoprirla; poi l'inchiostro sbiadì, oggi non esiste, al punto che non sono più sicuro se la foto sia quella che ricordo, e il punto di muro il medesimo. Quello là e non altri è stato il tempo immobile dell'evoluzione: dentro poteva succedere di tutto ma io avevo gli oggetti dell'abitudine, a dirmelo, che niente era irrimediabile: cuscini, libri, eretici al rogo. Invece accadde che qualcosa - di periferico, laterale - mutasse per sempre. La morte di uno zio meno amato,