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Visualizzazione dei post da marzo, 2016

Dove siete finiti, tutti?

Stanno certe case serrate dietro certe persiane chiuse che costeggio da una vita con la voglia eterna di guardarci dentro, e vedere che stanze acchittate hanno , così come oggi a Narni, che inseguivo le nuvole. Ma in concreto le nuvole che sono? Me lo strachiedo da che il passato ha smesso di essere presente e ha cominciato a trasmutarsi in memoria, come il metallo vile in oro. Ho strapazzato i ricordi in lungo e largo: più vicini, per quanto remoti - preparavo il primo esame d'università e scappavo a san Girolamo col libro di storia della stampa e Dylan Dog, e sdraiato sull'erba indovinate che leggevo? - e remotissimi - giocavamo a tennis alla Valletta le sere di giugno e poi cenavamo insieme all'aperto, con le polo Fred Perry che sembrava ci sponsorizzasse, freschi di doccia. Dove sono finiti, tutti? I morti sono morti, ok, ma ci sarà pure un posto dove alloggiano, mica davvero crederete che si svanisca nel nulla? E magari da una vita - da che sono appunto morti - cerca

Nostalgia

Quando ho tempo mi prende nostalgia, come s'accordassero per arrivare insieme, l'uno sposa l'altra e io a fare da officiante. Così adesso, che apro libri a caso, li spolvero, riordino, e dentro ci trovo certi petali secchi di quando avevo fidanzate adolescenti, di quando prendemmo il diploma e rincontrarvi ormai - stamattina, Laura, in fila alle poste - è ancora tenero, di quando mia madre mi spostava per Narni e per chiese il venerdì santo a guardare i sepolcri, ma che fossero dispari. Non ho mai capito perché. Oppure mi afferra la mia indole girovaga e invita al viaggio, quello che non conta il posto - purché ci sia il mare -  ma l'albergo, la stanza, la colazione a buffet, la luce che entra in un certo modo dalla porta finestra, e se si vede Bologna come una delle ultime volte, pure se non c'è il mare va bene lo stesso. Io ci vivrei in albergo, me ne innamoro, delle camere anonime, che sono di nessuno e di tutti; m'incapriccio dei cioccolatini sul cusc

Manifesto

In tema di snuvolamenti, oggi che la primavera viene, docile come un gatto domestico, avrei un paio di considerazioni minute da fare. La prima, che in ordine di tempo è la seconda perché m'ha corteggiato ieri sera, dunque appena nata, s'imparenta con due scene - diciamo così - simmetriche de Il ponte delle spie , il film di Spielberg sulla Guerra Fredda. Primo snuvolamento, allora: a un certo punto, a metà film, si vedono ragazzi che tentano di scavalcare il muro di Berlino, appena costruito. Vengono falciati senza pietà dalle mitragliatrici. Alla fine della storia, quando Tom Hanks torna a casa dopo aver gestito con successo uno scambio di ostaggi tra russi e americani, osserva dai vetri della metro altri ragazzi che in un cortile di Brooklyn saltano per gioco un muro, e scappano festosi tra i vicoli. A parte che Spielberg non mi è mai - mai - indifferente, e che il film dura due ore e mezza e non te ne accorgi, a parte la maestria di un genio, questa cosa di

Wow!

Ecco la primavera, ragazza che si fa desiderare e manda in avanscoperta temporali: fino a ieri l'altro era così. Poi oggi che aspettavo Susanna in macchina - le ruote storte sopra la radice di un albero che ha gonfiato l'asfalto -  ho avuto caldo, messo gli Stadio e tolto la giacca. Il primo tepore di stagione è uguale a quando da ragazzini a Narni scoprivamo che Bilbao aveva fatto il gelato - una speranza, cioé -   perché lo faceva solo nei mesi belli e dunque se decideva di metterci mano, lui che era meteoropatico, sul sole ci potevi contare. A finestrini aperti, a un certo punto, una scorreggia di vento ha fatto fremere sul cruscotto le pagine di Ragazzo da parete , come un'educanda alla prima oscenità; una donna attraversava la strada e còlta da un soprappensiero si è bloccata a metà - un vecchio amore sovvenuto, un bonifico dimenticato, un saldo da acciuffare - ed era tenera e lunare, come una poesia di Cardarelli. Non si è accorta di me ma io sì di lei e sono corso a

Ci ho messo un po' a capirlo

Faccio la ronda sui camminamenti dei ricordi e guardo giù dal castello di questa memoria necessaria lo scempio e l'estasi di quel che è successo, e ancora non me ne capacito. Altro dovrà ancora accadere, e la piana al di là del ponte levatoio ingigantirà, per cui scriverne è l'unico sistema per trattenere un po' di vita prima che l'orizzonte diventi troppo infinito per i miei occhi. Ho ripreso a comprare dischi perché nessun mp3 può batterli e perché comprare dischi era una pratica inevitabile quando ero ragazzo. Mi dava un gusto elettrico - come una scossa di emozioni - scoprire le canzoni una via l'altra, tipo entrare negli scompartimenti dello stesso treno ma trovarci facce tutte differenti, e innamorarsi di una sola, quella giusta, per l'intero viaggio. Ho così riscoperto una canzone che avevo liquidato troppo in fretta due anni fa, tagliata in radio (non la mia: le altre, poverine) dalle stupide regole commerciali. Si chiama Alzo le mani , vi aiuto: inizia

Se non lo guardo, il mondo non esiste

Io se fossi giornalista fonderei un quotidiano di carta, perché mi piace essere vintage, epperò lo farei rettangolare, perché mi piace essere matto. Lo stamperei tipo album da disegno, come quelli che andavo a comprare da Panfilia, dentro le scarpe dei miei dieci anni, che stava nella sua bottega a guardia dell'ingresso di via XX settembre, a Narni, quando Narni era l'unico posto che credevo esistesse. Ci scriverei tutte le cose che nei giornali non ci scrivono: avventure liete, incoraggiamenti a osare - di qualunque impresa si tratti -  i risultati delle partite di pallone giocate in mezzo ai vicoli, guarigioni da malattie e gente che gliela vende cara, la pelle, alla morte, e l'emozione di un film visto con mia figlia, la sua trepidazione nel farmelo vedere quando lei l'ha già guardato e le è strapiaciuto, e l'attesa del mio giudizio. Ho chiuso con la scuola: questo è il mio ultimo anno da disinsegnante perché si può parlare solo a gente che ti ascolta e non sono