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Visualizzazione dei post da febbraio, 2016

Happy

Oggi che mi aspettavi lì seduta - ragazza - come avessimo quindici anni e quando sono arrivato mi hai sorriso e baciato ho smesso di pensare che il tempo è arcinemico. E allora, al netto del mal di denti, delle corsie di oncologia, dei mentecatti in autostrada, della rinuncia alla bruschetta per non sapere d'aglio, del declino triste di Dylan Dog e della certezza che la Lazio non vincerà mai -  in millemillanni - la Champions, confesso un difetto: sono felice. Happy, o giù di lì. Ci pensavo appunto due ore or sono, che la sera incappucciava il Caos, quel posto innamorante che han fatto qui a Terni dove si suona recita e mangia come a New York, - e difatti c'è un piccolo teatro da grande città, quasi off Broadway: è dove mi piacerebbe portare le mie cinque storie americane - e mentre ricacciavo indietro le lacrime piovute alle foto di Parigi, in mostra qualche giorno ancora, con le facce attonite dopo il Bataclan. La sera è una storia per cuori teneri; è uguale dappertutto e

Tutta letteratura

Io scrivo per me, vi ho ingannati -  teneramente però - perché scrivere mi spensiera ed l'unico antidoto alla malinconia di un lavoro che finisce. Oggi ne è finito un altro - il quinto laboratorio di scrittura, e dire che avevamo cominciato per scherzo - e seppur siamo già all'opera per il sesto qualche nostalgia appena nata mi trattiene là. Là è Narni, le sale di Palazzo Eroli, dove, mentre racconto e mi diverto da morire e spiego cose belle a chi ha la bontà di ascoltarmi, passano i visitatori del Ghirlandaio e della mummia, della zanna di mammut e della sala del camino. Troppo ganzo far cultura e trarne di che comprar la spesa, troppo. Ammetto che  me ne sono accorto un po' in ritardo, che si poteva fare: devo recuperare il tempo perduto. Per questo ci dò dentro. Ho il contachilometri dei ricordi e brucio tutti i limiti di velocità, che se mi decurtassero punti come sulla patente perderei tutta la mia memoria. Ho il sospetto tuttavia che si mettano d'accordo tra lo

Joy

Mi sa che certe volte siamo noi a complicare le cose; che in realtà sono semplici, più di quel che sembra, almeno. Parlo di scelte: non è che ce ne sono poi tante. Diciamo due? Quelle giuste e quelle sbagliate. È che siamo evoluti e crediamo nelle sfumature, ci piacerebbe poter stare sempre con un piede in Italia e uno in Svizzera e che in mezzo alle gambe ci passi la linea di confine. Per giunta certi di noi coltivano una detestabile predisposizione al compromesso, - per non scontentare nessuno, far andare un certo amore dritto mentre è morto e bisognerebbe trovarne un altro - la qual cosa intorbida la vita e ci intristisce. Io, - che amo le stagioni incespicanti che tornano sui loro passi come un cane alla catena e che m'avvince ogni incerta avventura perché è generosa di storie da scrivere - pure, quando non scrivo ho imparato a esser drastico. Così vivendo, ne ho apprezzato i vantaggi. Le epoche morte vanno seppellite, appiattita con un badile la terra sopra e buona fortuna.

L'impostore

Tra i sentimenti indecisi amo la nostalgia, freno a mano della disperazione e anticamera della felicità. La ritrovo nei giorni che lascio tutto sospeso, come un prestigiatore, e viaggio al mare, e mentre il pubblico trattiene il fiato io ricammino quella salita di Tarquinia, passo davanti al busto di Mazzini, alla gelateria biologica, e in cima svolto l'angolo ed eccola lì, la trattoria che spinge indietro il tempo. Il bello delle cose consuete è che non tradiscono, aspettano che te ne ricordi e intanto sostano, benché attorno a loro tutto cambia. Lassù bevemmo un vino di troppo, io allegrai e m'alleggerii di tanti pesi tutto assieme, e forse rinnegai l'astemio che spergiuro di essere. Poi finì la sera e prese a piovere notte, a morire marzo e nascere aprile, e precipitati in albergo anche noi nascemmo insieme fino a morirne per una magnificenza che non esiste se non la corteggi sanguinario. Chissà se in altri anni, in un altro secolo, in un'altra città,