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Visualizzazione dei post da agosto, 2015

Vita in tempo di guerra

Scrivo di quell'inezia che ho capito e di quell'universo che non afferro, scrivo per tenere un fiammifero acceso in una immane caverna: ne ho intuito l'ingresso, non ne vedo la fine. Scrivo d'amore conoscendolo alla lontana, cugino di terzo grado, ho raccontato di gente innamorata ed è stato come improvvisare all'esame di Glottologia. Mi capitò sul serio: mi fecero una domanda assurda e me la cavai con la parlantina, senza avere idea di cosa dicessi, senza ascoltarmi per non scoppiare a ridere. Forse per questo - perché ho più tempo per intuire qualche verità  - ho un debole per le storie potenzialmente infinite, come The walking dead , il serial ma anche il fumetto, racconto imperfetto che ti incolla ai suoi eccessi fino a farti scordare che ti sta romanzando i tuoi, e allora dici Non può succedere . Invece è già successo, proprio a te. Una metafora gli zombi, mica ci vuole una testa d'uovo a capirlo. Come il dio tatuatore, come Mirka, se mi passate la presunz

Impercettibilmente

Per esempio: il film più bello di Carlo Verdone è Compagni di scuola , quello che ho più voglia di rivedere Maledetto il giorno che t'ho incontrato . Un problema di messa a fuoco, in un certo senso, la differenza impercettibile tra ciò che è bello e ciò che mi piace. Uno scarto minimo, come arrivare un istante dopo che il taxi è partito o stappare lo spumante a mezzanotte e un secondo. Questo mi fa vivere spesso sfumato, in controtendenza, -  qualunque sia la tendenza - appena appena asociale, e mi lievita la misantropia. Che non è una cosa da incoraggiare, vedete bene, ma talora un rimedio, un antidoto al veleno degli happy hour, delle notti bianche, delle macchine parcheggiate in terza fila per la sagra paesana, delle parole maltrattate, urlate, dette storte, come un abito di pregio tutto liso e portato senza fierezza. Così a piedi vado dove c'è il silenzio, la sua fonte, per una strada bianca che si stringe,  s'insentiera e poi muore in un bosco d'aceri, e quando

La mattina

copyright by Giorgio Cavazzano Ho tanto scritto quel che desideravo che a furia di scriverlo si è avverato. L'ho nascosto tra le righe, come si conviene, l'ho lasciato intendere. Una mia amica - sveglia - l'ha capito subito e oggi alla prima occasione me lo rinfaccia, carinamente, e io le sono grato. Mi vuole bene: ci conosciamo da 35 anni, eravamo ragazzini. Quel che ho desiderato, come quel che tutti desideriamo, ha a che fare con le stelle, etimologicamente. I desideri, il cielo stellato sopra di me - kantianamente parlando - la mia artigiana scrittura biologica. Tutte cose sane, via. Cose che fanno densa la vita, le consegnano grembi di benessere, dentro cui rifugiarsi per un po'. Come d'inverno che occupo l'angolo di casa più letterario, lontano e tenebroso e lo abito di me stesso, d'una poltrona come dio comanda, di una luce fievole e di un romanzo alla bisogna: gotico. E di una coperta sulle gambe, e il mondo là fuori finalmente scompare. Altri a

Come Marty McFly

Da un po' di notti faccio sogni furibondi che la mattina ricordo a stento: una volta sogno persone care aggirarsi a loro agio in una casa enorme dove non ho mai abitato; un'altra di far la spesa e alla cassa dimenticare il pin del bancomat e suscitare odio tra quelli in coda; un'altra ancora di trovare nella vasca da bagno uno squalo, e la mia famiglia che reputa la cosa normalissima. Può darsi che è per via dei letti che cambio di continuo: non per amore ma per viaggi, spostamenti, fughe dalla pozza d'inferno che è questa città in questa estate rabbiosa, dentro cui sembra ci abbiano scaraventati per scontare un gran delitto. Come che sia, vorrei avere una telecamera in testa e filmarli, i miei sogni, e stupirmi di quante scene ho tagliato fra il sonno e la veglia. Come vorrei - ben da sveglio e coi piedi piantati sul pavimento  - tornare indietro e intercettare le situazioni che hanno prodotto la mia ingannevole felicità di ragazzo, e disattivarle. Vorrei aver fatto

La colta dei marabulini

Per primo occorre una canestra, dev'essere femmina, non si transige. Il canestro maschio non si sposa col marabulino, maschio anch'esso e orgogliosamente virile, che stacco a piene mani dai rami e raccolgo con la devozione del gesto antico. Antico nel senso che me lo ricordo da quand'ero ragazzino, non che ha secoli di vita, anche se ce li ha ma io non c'ero, per cui ogni concetto di vecchiezza ha valore solo se rapportato a noi. La colta - o coglitura, secondo un'altra scuola di pensiero contadina - ha un che di erotico: è un amplesso che si consuma all'aperto. La canestra si lascia fecondare dal marabulino e sgrava marmellate. Okay, c'è l'intermediazione - e la fatica bestia - umane ma è un dettaglio. La natura farebbe pure da sola, basta darle tempo qualche milione d'anni ancora. Mi sono arrampicato con la scala su per la pianta - nome rurale generico che sottintende senso di appartenenza e il rispetto sbrigativo di chi non può perder tempo ad a

Per inciso

Concedo troppo ai ricordi, lo so, ma senza, questo blog non esisterebbe. Senza, Mirka non avrebbe camminato la sua avventura, né io starei scrivendo ancora, perché ogni cosa che progetto per l'indomani - un nuovo libro, una nuova storia da raccontare in pubblico - si avviluppa attorno al passato: il futuro è già accaduto. La mia buona ossessione, scoperta piuttosto tardi - come l'America -  ma non così tanto da impedirmi di assecondarla, è scrivere, ma da sola la scrittura non basta. Bisogna poi parlarne, di quello che scrivi, chiarire i punti che a taluni paiono oscuri, fornire i dettagli, spiegare le dinamiche che portano a impalcare una storia, quella sola e non altre. Non faccio parte della categoria di quelli che fanno parlare i libri al posto loro. I miei libri parlano, certo, cerco di scriverli chiari quanto basta per convincere tutti ad arrivare all'ultima pagina e intelligenti a sufficienza per fare in modo che nessuno se ne penta. Ma poi, quando mi chiamano in qua