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Piccolo ragionamento sul tempo

Adriana Lima nel backstage del Calendario Pirelli 2015 (Credits: Steven Meisel)
La fornaia serve un cliente che va di fretta, aspetta che esca e poi - quando non può più risponderle - gli consiglia davanti a tutti una cura di camomilla; un galantuomo nottambulo infila viti tra i solchi dei miei pneumatici e mi lascia a terra, e son già due volte; Barbara F. mi insulta per una critica educata a un premio letterario a pagamento, segno che una parte di mondo vuole ascoltare solo ciò che le dà ragione. Cattiverie gratuite, piccole malignità senza tornaconto, solo un po' vigliacche. Ne commettiamo più di quanto siamo pronti ad ammettere. Con la mia indole incuriosita di scrittore emergente - come le anime semplici definiscono quelli che non vendono abbastanza per essere considerati modelli di pensiero e stragiurando che preferirei spararmi in loop tutta la discografia di Venditti piuttosto che diventare modello di pensiero - provo a capire perché.
Sospetto che c'entri il tempo. Il tempo che percepiamo, più che il tempo reale, che invece è un mito, non esiste. In una periferia estrema del cervello, una bidonville, intuiamo che il tempo cola via come da un piano impercettibilmente inclinato e dobbiamo dare un senso ai giorni vuoti. La cattiveria, il dispetto, sono un'ottima farcitura, specie se abbiamo in cavea  acquirenti di pane col bigliettino in mano o astinenti da social network. E anche la luce dei lampioni che piove tonda come un tuorlo sul tegame ma non coglie quella Chevrolet parcheggiata al buio, in pace, un po' più in là, è un'occasione per rompere le palle, l'indomani, a uno speaker radiofonico, romanziere, padrefigliocompagnoaffidabilefratellogeneroforsegrillinodicertosognatore che -  pur affetto da faringite ipotrofica cronica -  a scuola parla a braccio di Montale e trasforma la precarietà in occasioni, sa trasmutare come sasso in oro la malinconia in gioia  e ci ha pure una fidanzata magnifica mentre io torno a casa e trovo quel rospo di mia moglie e la sua dentiera nel bicchiere.
Magari lo farei anch'io. Rompergli le palle a uno così, dico, bucargli le ruote. Magari no. Comunque ora non importa. Importa che voglio scrivere una storia dove il tempo non è casuale ma su misura per ognuno. Mettiamo che funzioni così. Il tempo che ognuno ha è tarato esattamente sui suoi desideri. Quando uno li ha esauriti, ciao: muore.  E la sto scrivendo, una faccenda con queste coordinate. Viene fuori ganza, mi sa. Non staremmo più a rammaricarci per quelli che muoiono giovani: sapremmo che han finito di desiderare, che sono stati esauditi, che non c'è più motivo che sopravvivano. O che non hanno desiderato abbastanza, e allora è inutile che stiano al mondo. Il tempo modellato sulle aspettative. Pensa se fosse questo il disegno di dio: semplice semplice. E noi che siamo stati a scervellarci con la teologia, sant'Agostino, Spinoza. Deficienti. Noi e chi ci dà retta. Staremmo lì ad accumulare progetti di bellezza per dilazioni di mesi, anni: un paio, per i più fantasiosi. Lo capirebbero anche i fessi che è meglio desiderare tanto, se vuoi arrivare vecchio. Perfino i rompipalle smetterebbero di esserlo e si piazzerebbero alla finestra a guardare le stelle, anche etimologicamente il gesto necessario. Solo i gommisti, alla fine, sarebbero rammaricati di aver perso tutto il lavoro. Ma compenserebbero coi calendari Pirelli, da cui donne più nude possibile - a furia appunto di desiderarle - prenderebbero vita tra le Michelin e le Goodyear appilate. E allora lì comincia la festa.







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