C'è poi quella faccenda delle case che prendono a vivere solo quando tu c'entri per la prima volta, anche se serbano un'altra storia incespicante cui hanno assistito negli anni, e potrebbero raccontarla. Ogni prima volta che uno lo guarda il teatro cambia pur rimanendo uguale: sono i tuoi occhi fino ad allora altrove a farlo inedito. Allo stesso modo sono entrato in una vita che ha preso a vivere solo con me, nel medesimo istante in cui la mia, di vita, rinasceva ospitando la sua. Prima c'era stato tanto dispetto e per entrambi un po' di speranza: giornate di costernazione, passioni malriposte, attese interminabili in terrazzo, rumore di macchine in avvicinamento che a svelarsi - dietro la curva - non erano più quella consueta. E tutto ciò che abbiamo vissuto di orrendo e sublime fino a una ventina di settimane fa lo abbiamo vissuto da soli. Senza noi due, voglio dire, non assieme. Sembra folle, a pensarci ora, a guardarci ora: la trama schizofrenica di un sogno all'alba, quando sei più vicino al risveglio e i sogni t'inquietano mischiandosi al vero. Eppure abbiamo già mezza vita andata, a voler essere ottimisti. Che vita è stata? La preparazione di questa, l'antefatto. Per cui un'altra vita: non sono io quello di allora, sono troppo cambiato per esserlo. Non trovo risposta più esatta. Per come vivo, per come disegno l'avvenire con le dita, - i tratti di un bambino che traccia nell'aria il giocattolo più ambito - per come desidero lei e nessuna altra fortuna al mondo, non ho una risposta la cui precisione possa essere garantita più al millimetro. Così non contano le incombenze fastidiose, non importano niente. Non valgono - ad avvilirci - lo stipendio ignobile che non arriva, il sospetto di dar via la propria professionalità al punto che sarebbe più dignitoso, se l'avessi, fare altrettanto con la mia virtù. La nostra bellezza, invisa ad alcuni, profetizzata effimera da uccelli di malaugurio, invidiata malcelatamente da altri, è qui e ora, ammirata dai passanti di tra i vetri di un caffé. Ed è là e domani. Vivremo mai saziandoci di stare accanto, io questo lo posso giurare, anzi l'ho già giurato. E nessun tagliatore di teste di nessuna scuola privata, nessun affarista in tonaca da prete, nessuna pia donna di nessun esercito della salvezza potrà mai far niente per rovinare tutto quel benessere che stiamo fabbricando.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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