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Il coraggio

Succhiare il cornetto Algida dalla punta. Fare sega a scuola e andare a pomiciare al parco. Fumare in quattro la stessa sigaretta e quando tocca a te pensare che le labbra prima sono state quelle di S. e fartici sopra un gran film. Sono rivoluzioni, incrinature del costume borghese, cose fatte al contrario di come si dovrebbe, per il gusto che dà. Leccare canonicamente un gelato, non infrattarsi mai all'ora di greco, fumare ognuno la propria Merit o - meglio - non fumare per niente e - soprattutto - non pensare che le labbra di S. le vorresti addosso a te, sono pratiche da morti di sonno, gente che il sabato pomeriggio non ha niente di meglio da fare che andare a servir messa. 
Questo credi fino ai diciott'anni.
Poi cominci a valutare meno severamente le parole di tuo padre, dai loro un peso differente; i tuoi insegnanti non sono tutti dei poveracci ma qualche dritto c'è, seppure non così tanti. Uno o due, diciamo. E prendi a vivere seguendo la strada tracciata, sbandi di meno e quando sbandi dici che è la conferma della vecchia storia della regola e dell'eccezione. Confesso che a forza di accumulare eccezioni io ne ho fatto - appunto -  una regola, tanto da non capire più la differenza, ma adesso lasciamo stare: un'altra volta, magari, ne parlerò. Sta di fatto che a un certo punto hai ben chiaro in mente quel che devi fare; il guaio è che nella gran parte dei casi non coincide con quel che ti piace fare. E allora sono cavoli amari. Lo fai, quel che detesti, perché in piccola parte ti conviene. Ma avverti che qualcosa non quadra - come quando ti ostini a mangiare la marmellata di castagne perché tutti ti hanno detto che è buona e vuoi allinearti al giudizio comune ma senti che in fondo al palato ti disgusta. Così costruisci l'infelicità. Oh, mica tutta in una volta. Mattoncino per mattoncino. Ci vogliono anni. Finché un giorno il fortino Lego della tua scontentezza è finito. Bell'e montato, con gli spalti, i soldati sopra che van di ronda, l'emporio, lo spaccio, le stalle, le tende degli indiani accampati fuori. Non manca niente. E lo contempli, e non ti capaciti di come ci sei arrivato, ché mentre fingevi di essere felice hai finito per convincertene, e non ti ricordi più quando lo scempio è cominciato, quando hai incastrato i primi legnetti della palizzata.
A quel punto o bevi o affoghi. E in genere inizi a bere quando stai per andar giù per sempre, ché fino a un attimo prima pensavi di poter nuotare. No, niente via di mezzo, invece, non puoi nuotare. Puoi solo morire o rinascere. E allora a rinascere ti ci metti di punta. E fai vedere a tutti quanto sei bravo. E torni padrone della tua vita. E mandi al diavolo il lavoro sconcio che ti hanno offerto spacciandotelo per regalia. Era il periodo in cui abbozzavi, ricordi? E credevi vera la balla del migliore dei mondi possibili. E non ti senti più grato a nessuno se non a te stesso, al tuo coraggio e alle persone che ti amano. Che non sono poche, per grazia del destino. Riparti controvento, a quel punto. E fai cose che nessuno si aspetta - come l'ontano che a dispetto del suo nome (se fosse senza apostrofo) cresce solo vicino all'acqua - perché quelle che nessuno si aspetta sono le cose giuste da fare. Un altro lavoro, anzi più d'uno insieme, nello stesso tempo, nella stessa vita. E ne sei tu il solo padrone. E gratifichi il tempo di cose belle. E ne trai pure da vivere. Sei tornato a succhiare il cornetto dalla punta.










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