Passa ai contenuti principali

Laddio

Mi piacerebbe scrivere un altro romanzo e dargli quel titolo, così, senza apostrofo, perchè ogni addio è già una separazione sufficiente senza bisogno di aggiungerne altre sintattiche. Racconterei gli addii a tempo, rimediabili, come stamattina che sei uscita da casa mia per la gioia poi di tornare, e ti aspetto, e aspetto che quel mia diventi  nostra, qui o altrove e comunque in un posto dove abitare non sia solo vivere vicini ma insieme. Nevica pioggia. Abbiamo provato a dire che ci piaceva la neve, nei giorni che eravamo bambini. Ora è un contrattempo che ha un unico - considerevole -  lato positivo: infilarsi a letto e stare abbracciati a contemplarsi mentre gelano le strade e  cristallizza il mondo. Dicono così, nelle canzoni audaci: l'intimità reclama il clima adatto; intorno dev'esserci silenzio e gente ragionevole che non fa casino con motori e strilli coniugali. Da bambino ho vissuto addii laceranti che duravano poche ore e che credevo per sempre. Mia madre mi lasciò all'asilo di Sant'Anna che strepitavo inconsolabile in braccio a una maestra, e poi all'una venne effettivamente a riprendermi, come aveva detto. Che strano quando le persone mantengono le promesse. O altri addii, come un sollievo, ho praticato con gente che non amavo, o molesta. In piscina, qualche agosto fa, mi si attaccò una ragazza e poi pretese uno strappo fino a casa. Salì nella mia macchina in bikini, era attraente ma non ne approfittai. La portai a casa, mantenendo le distanze; rimase un poco infastidita, non mi invitò a salire, non glielo chiesi. Ci rincontrammo un altro paio di volte a nuotare e ci ignorammo con tutto il cuore. Perché esistono addii che si pronunciano prima ancora che nasca un motivo per farlo.
Ho detto addio a stagioni nemiche e ad amici. Le stagioni furibonde - che non si rassegnano al distacco - a volte ristanno, come la panna si forma sul latte che metti a bollire. Basta non dar loro corda e vanno via, cacciate dai pensieri esaltanti di oggi. Con gli amici pratico addii a elastico: andiamo talmente lontani - io da loro e loro da me - che a volte è come fossimo su continenti diversi. Non ci sentiamo per un tempo che sembra la somma di tante vite. Quando l'elastico a forza di tirare hai paura stia per spezzarsi, arriva un messaggio al cellulare. Spesso di prima mattina: i miei amici dormono poco, lavorano molto e spero abbiano tempo - come ho io - di fare gioiosamente altre pazzie. Ma so che è così: ne parliamo. Mi cercano. Mi vogliono bene. Una perentoria convocazione a cena, un augurio, un caro ficcanasare, un bisogno di vedersi reciproco. Ecco, gli addii a tempo  - non  lugubri come quelli per sempre  - sono quelli che amo, più del continuo vedersi. Perché a vedersi troppo ci si stanca, ma lasciarsi ogni volta e ogni volta ritrovarsi è un gioco di rara dolcezza che dopo un'enormità di anni ancora ci piace rifare.





Commenti

Post popolari in questo blog

Avvento

Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra

Tre circostanze fortunate

Tu adesso chiudi gli occhi che io ti do un bacio. Chiudi gli occhi perché il bacio non devi vederlo arrivare, devi fare in modo che l'attesa sia una fitta dentro al petto, che la mia bocca s'aggrappi alla tua quando non ci contavi più, quando pensi che me ne sono andato e t'ho lasciata là, ingannata e cieca. Mentre aspetti il tempo ti sembrerà differente - il tempo dell'attesa di un bacio sfugge alla gabbia consueta - e se alla fine ti chiedessero di contarlo dovresti fare come i bambini, con le dita, e sarebbe lo stesso un inganno. Non è una questione di età, io ho la mia e tu la tua, non siamo alle prime armi. Ma anche la tenerezza - perché è di questo che stiamo parlando - muove con un tempo tutto strano, asincrono, ed è la stessa di quando avevamo vent'anni - tu più di recente - rinvigorita però dall'autostima, che alla giovinezza non si addice. Poi vorrei tenerti addosso, come in quella canzone di Paoli, stringerti alla mia camicia bianca e dirti che probab

Alcune ragioni contrarie all'infelicità

Perché sei infelice? Perché non riesci a starci dentro, alla felicità, per più di dieci minuti? Io credo che dovresti ragionare su queste domande, così intime e così terribili. Se vuoi ti do una mano, molti dicono che ci somigliamo, sarà più facile per me che per un altro suggerirti una via d'uscita. Sei infelice nonostante tu faccia tutti i giorni quello che ti piace. Pensa se non fosse successo, che avessi quei piccoli talenti che alcuni ti riconoscono: parlare in radio con disinvoltura, scrivere con leggiadria, tenere avvinti venticinque ragazzi con un poeta che per la prima volta non sembra loro inutile. Pensa se non avessi quei piccoli talenti ma fossi divorato dal desiderio di averli, e ogni tua invenzione passasse inosservata, o peggio fosse evitata come la peste. Questa attenzione che ti dedicano, non è già motivo di felicità? Le parole - lusinghiere -  che ti regalano a corredo delle tue, non sono una buona ragione per essere felici? E quando hai viaggiato per l'Italia