L'euforia - il buon vento che soffia a dolce tradimento, come una notizia tanto bella che non la speravi nemmeno - mi stacca di dosso ogni remora alla felicità, in una mattina che muore febbraio e già marzo s'avvisa dietro le palizzate dei grattacieli, in fondo al cielo. Ha una luce che incoraggia al ricordo, questa stagione spudorata; ha l'arditezza delle donne che istigano a vivere e reinsegnano ad amare, verbi che non avevano più coniugazione, prima di lei. Non ti sembra che le giornate siano più lunghe?, sussurrata al netto dello stupore è la domanda che spalanca la primavera. E allora si disfano i bagagli dell'inverno, perché la primavera è un viaggio da fare a cuor leggero; e si acconciano i paraggi in modo che procurino emozione. Adesso pulisco il terrazzo - adesso dopo che ho finito di scrivere, beninteso - che è un posto dove leggere è sentire attorno viva e curiosa della sua stessa vita scritta tutta la genealogia di Cent'anni di solitudine - per questo a volte leggo a voce alta -; e dove corteggiarsi dopo il tramonto (ma non troppo a notte) - benché inedito - dovrebbe avere un sua sacra oscenità. Vi saprò dire. Da ragazzo - la memoria sempre mi catapulta a quel tempo, quasi senza stazioni intermedie, nonostante tutti avessimo una vita peggiore - aspettavo la primavera come nessun altro regalo, a cavalcioni sul davanzale, 15 metri sopra il livello del male: la gente che passava per strada. Smaniavo però di vita, qualunque fosse, perché quella misantropia mi pareva piuttosto un non vivere, un accantonamento di tempo senza costrutto. Oggi so, per un contraddittorio sentimento, che era per permettermi di ricordarlo con nostalgia, nonostante fosse volgare. Si arriva a 48 anni quasi senza averci messo penna, o così pare. In realtà di cose ne son successe tante e qualcuna ne ho architettata perfino io. Sono stato talora seduto, indeciso se vivere o no, come l'amante scrittore (o quello che è: l'aspirante suicida, il probo peccatore) di Edward Hopper accanto al suo amore discinto; e più volte febbrile a costruire sogni che si son sbriciolati e che - ostinatamente - ho rinnovato, stavolta con l'anima di ferro. Abbiamo così sancito al ristorante - sempre quello, a Tarquinia: ci piace rinnovare a breve termine lo stesso benessere - il nostro patto per il resto delle vite. Che ve lo dico a fare? è magnifico. Perché alla fine voltarsi indietro va bene, ma con moderazione. Meglio una camera vista mare, vista infinito, da dove poter guardare, godendoselo per bene, tutto quello che succederà.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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