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Visualizzazione dei post da ottobre, 2013

Ecco perché amo il buio

Il primo giorno di ora solare, il buio in anticipo rispetto a ieri; puoi guardare dentro le finestre dalle luci accese e vedere come vive la gente. Ad Alessandra piaceva, quando andavamo a zonzo per mano fino a sfiancarci, senza neanche una bicicletta per fare più veloce. Il sabato pomeriggio, qualunque cosa succedesse al mondo, esistevamo solo noi, appiedati e lenti, tra la periferia e il corso. E comunque a lei piaceva sbirciare dentro le case. Non era invadente, le piaceva perchè la sua famiglia era rissosa, scollata. Voleva vedere se altrove fossero stati più fortunati. Il buio ci mangiava i piedi, a un certo punto. Allora per rassicurarci seguivamo chiazze di luce per terra, tuffate dai lampioni e dai negozi. Io cercavo di portarla al parco, su una panchina nascosta tra gli alberi, per trovare un passaggio tra tutti quei vestiti che aveva indosso e arrivare con la mano a carezzarle il seno. Quando ci arrivavo era solo per sfiorarne la carne, si ritraeva sorridendo, si ricomponeva

Alessandra Franceschini

Un anno intero. Se tu fossi davvero in viaggio avresti fatto migliaia di chilometri, anche ad andar piano come quando guidavi la 500. Di noi ho raccontato tanto, in questo tempo, a volte qualche intimità, ho avuto parole di conforto dagli sconosciuti e indifferenza e bugie da chi credevo ti amasse. Il 25 ottobre rimarrà per me, finché campo, Hiroshima: il 2013 è solo il primo anniversario del disastro, altri ne seguiranno, tutti rabbiosi ed eretici. Il tuo corpo magnifico che si decompone dentro quella bara: ecco, non posso pensare a questo senza provare un odio perfetto per dio. Meglio per lui se non esiste, ci fa più bella figura. E, in second'ordine, non riesco a non pensare al male che ti han fatto, quando qualcuno che amavi e di cui ti fidavi vendette una casa che in parte era anche tua, senza dirti niente, senza sganciarti un centesimo. Non per i soldi, di cui non ti importava niente: ti sentisti tradita. Son cose di cui non vorresti che io parlassi ma me le son tenute dentr

Il talento della bestialità

Ma lei perché scrive? mi domandò una signora un giorno a una presentazione. Lì per lì rimasi un po' infastidito, scambiando quella domanda per una provocazione. Poi ho capito che era qualcosa di più, una specie di cosa retorica la cui risposta sottintesa era: Ha ragione lei, tanto non serve a niente . Perché non serve a niente fare l'artista, avere un talento piccolo o grande, duecento persone che ti seguono o due milioni. Non ha senso mandare in avanscoperta le nostre opere - insignificanti o geniali - al nostro posto. Siamo noi che dovremmo esporci, carne e sangue, non i nostri simulacri. Questo tanto per cominciare. Poi non ha senso perché non si cambia il mondo con l'arte, neanche quello piccolo che sta dentro la nostra testa. Si impara semmai a essere presuntuosi o depressi, a seconda che si abbia successo o no. Fanno tenerezza quelli che mettono accanto al proprio nome - su fb o solo sulla targa di un portone - la dicitura artista . Fa molto Andy Warhol ma la pop ar

Malinconia di mezza stagione

C'è un periodo preciso - una dozzina di giorni tra la prima e la seconda metà di ottobre - in cui ogni anno, appesi ai terrazzi, trovi assieme gli asciugamani del mare e le trapunte d'inverno, pronti a darsi il cambio come sentinelle sul confine di stagione. Questo han di buono i momenti di passaggio: che ci fanno nostalgici del tempo - perché solo del tempo si può esserlo: i luoghi che ci stan dentro sono incidenti - e lieti d'aver passato indenni altri anniversari. Stavo a Piediluco oggi, nell'ora d'aria e di libertà da tutti e tutto che ogni tanto mi concedo. Qui sono stato bene in tempi lontani e recenti, con persone così straordinarie da essere amabili nel modo più forte che so. Non so se è un modo forte, il mio, di amare, rapportato a quello d'altri. So che è senza risparmio e bugie, è il mio record del mondo. Ma a parte questo. Ho guardato il lago, un mare piccolo, a misura della mia nostalgia: troppa uccide o impedisce di vedere avanti. Perché della nos

L'innocente

Facesse male, si sentisse dolore, il giorno che uno perde l'innocenza, ci staremmo attenti. Invece succede in silenzio, come un fantasma che viene a farti visita di notte e te dormi e non lo sai. C'è un giorno in cui maturi il cinismo degli adulti, in cui cominci a giudicare le persone, in cui prendi a fare le cose per calcolo e non più per divertimento. Non capita a tutti alla stessa età e allo stesso modo. Non è facile neanche ricordare, quando cresci, come ti è successo. Ma succede, ed è uno strappo che non si ricuce. C'entrano i tuoi genitori, una scuola diversa, una derisione subita, un innamoramento. Oppure no: avviene e basta, senza complici, e non puoi buttare la croce addosso a nessuno. La mia innocenza giocava con me a pallone nei vicoli dietro casa, s'ammalava con me a prendere ariate che ero sudato, con me si iniettava antibiotici, riceveva le visite degli amici sani che prima di andare al cinema le facevano invidia, con me delirava per la febbre alta, co

La maledizione di fare un figlio

I figli si amano più dei nostri passatempo, o non si fanno. E non si amano subito, appena li vedi nell'incubatrice. Là dentro inteneriscono, brutti come sono, ci vien da piangere, scambiamo quelle lacrime per amore e una attimo dopo il terrore: E adesso? Che ne sarà della mia indipendenza? L'amore si costruisce nel tempo, quando devi scegliere tra te e lui, te ne accorgi perché ti prende poco alla volta, come un'abitudine nuova che non sai se maledire o no. Qualcuno li uccide, i figli. Qualcuno si annienta per loro: due opposte reazioni umane allo stesso contrattempo. Stamattina ero in fumetteria. Davanti a me, alla cassa, un uomo sui quarant'anni, calzoni corti, pancia tonda, capelli  unti, barba a chiazze. Discuteva entusiasta con la ragazza dietro il banco di Wolverine, delle varie edizioni, dei disegnatori, dei film che ne han tratto, con una competenza sbalorditiva. Lo teneva d'occhio, a un metro, una donna sui settanta, sua madre. Lo guardava teneramente sen

Dio e Lampedusa

Se fossi Dio ci ripenserei. Non so se Dio può ripensarci: è perfetto; solo chi è imperfetto dubita, ci ripensa, torna indietro. Comunque se fossi Dio potrei fare quel che voglio - magari imbrogliando un po' -  e dunque sì, ci ripenserei. E cambierei qualche regola a 'sto mondo, per esempio i limiti di amore e dolore. L'amore ne ha, finisce, s'illude e cade e muore; il dolore no: si trasforma, lievita, diventa odio, cattiveria, si fa immane sofferenza, gerla maligna da issare sul dorso. Darei all'uno le caratteristiche dell'altro - amore che non si plachi mai e dolore che muoia - così, giusto a consolazione della vita indifesa. E già che ci sono cambierei il percorso, il trekking che passa dentro la sofferenza come speleologi in una grotta infinita. Arrivare alla gioia senza passare per il male, o passando per un male sopportabile. Quali accordi hai, Dio, con il male? Perché non se ne può fare a meno? Non me lo hanno mai spiegato preti e catechisti: è così e bast